E altre comode bugie sul cambiamento climatico
di Giuseppe Gallelli
In tempi di divagazioni negazioniste sul cambiamento climatico, questo libro è una grande fonte d’informazioni, espone con chiarezza, organicità e pregevole scientificità, i dati reali del cambiamento in atto, con la mente aperta alla speranza operosa di una mitigazione ancora possibile.
Le oscillazioni del clima – scrive Giulio Betti – meteorologo e climatologo del CNR e del Consorzio LaMMA, influenzano la nostra vita e quella di tutti gli altri esseri viventi con cui condividiamo la biosfera e le anomalie minacciano il nostro benessere e il modello socioeconomico a cui siamo abituati.
L’autore vuole fare chiarezza sulla questione climatica, dimostra come gli argomenti dei negazionisti climatici sono scientificamente insostenibili, ci fa conoscere le cause di queste reali mutazioni e ci dà utili consigli per agire con razionalità, in modo da mitigare il cambiamento climatico in atto, evitando la disinformazione che purtroppo fa la parte del leone sui media.
Chiarisce la differenza tra meteorologia e climatologia.
“Nel primo caso – scrive – intenderemo l’insieme dei principali parametri metereologici (temperatura, precipitazioni, vento, umidità, ecc.) che caratterizzano, in un determinato momento o per un breve periodo di tempo, una particolare area geografica o località. Nel secondo caso, invece, descriveremo l’insieme delle condizioni meteorologiche che normalmente si osservano in quella località in un arco temporale piuttosto lungo (almeno 30 anni). In questo caso si parla di ‘media climatologica’ o di ‘riferimento‘.”
Attraverso i trend climatici, cioè i grafici che descrivono la variazione della temperatura, osserviamo quanto è mutato nel corso di decenni questo parametro meteorologico.
I grafici, alla cui formazione concorrono decine di migliaia di rilevazioni termometriche giornaliere, ci dicono che in Svezia la temperatura media dal 1860 al 2021 è aumentata di 2° C. Anche in Europa e nel resto del mondo “gran parte di questo aumento è avvenuto negli ultimi 50- 60 anni”.
“La temperatura media degli inverni inglesi, ad esempio – scrive – degli ultimi 23 anni è stata la più alta dell’intera serie storica nazionale (1884-2023)”.
Si sofferma, in particolare, sul verificarsi di eventi estremi legati a caldo anomalo, piogge estreme, nevicate, siccità, ecc.
“Tali manifestazioni – scrive – non fanno altro che confermare e alimentare la tendenza, purtroppo consolidata, all’aumento delle temperature e del caldo anomalo e alla riduzione dei ghiacci marini artici e dell’innevamento in generale”.

A causa del rapido aumento della temperatura e della conseguente maggiore evaporazione, si sta favorendo “un incremento della concentrazione di vapore acqueo in atmosfera. La regola generale afferma che, se la temperatura globale sale di 1 grado, la concentrazione di vapore acqueo in atmosfera aumenta del 7%”, con conseguenze potenzialmente disastrose per le località in cui si verificano le precipitazioni. Figli della dinamicità del clima sono proprio le alluvioni di cui la “forzante antropica ne sta cambiando in peggio i connotati”.
L’autore chiarisce il concetto di variabilità termica causata da oscillazioni termiche interne al sistema – ad esempio la corrente del Golfo, El Niño e la Niña, eruzioni vulcaniche, aumento o riduzione della superficie innevata, influenza dell’attività solare su alcune circolazioni metereologiche – i cui effetti climatici sono temporanei e di modesta entità e che prima della rivoluzione industriale “non sono mai riuscite a produrre, su scale decennali o secolari, anomalie termiche globali paragonabili a quelle provocate dall’umanità in soli 150 anni”.
Oggi, però, osserviamo variazioni termiche globali di +1,5 / + 2,5° C. quindi, osserva: “non dovremmo più parlare di semplici cambiamenti ma piuttosto di sconvolgimenti, poiché l’entità dell’aumento e soprattutto la rapidità con cui avviene impediscono al sistema di trovare nuovi equilibri”.
L’autore si sofferma a descrivere la frequenza, la durata e l’intensità delle ondate di calore aumentate, in modo significativo, da 20 anni a questa parte in tutto il mondo e soprattutto nell’emisfero boreale, e delle “grandi siccità continentali che si ripetono nell’arco di più anni in un mondo climaticamente molto diverso rispetto a secoli fa […] a causa della maggiore evaporazione operata da temperature sempre più elevate, non solo in estate, ma anche in stagioni non sospette come l’autunno e la primavera”.
“Il nostro futuro, quindi, sarà caratterizzato – scrive – da prolungate fasi con scarsa disponibilità idrica e brevi periodi contraddistinti da precipitazioni anche estreme […] Il continuo riscaldamento atmosferico sta mutando il ciclo dell’acqua a livello globale e continuerà a farlo anche nei prossimi decenni, indipendentemente dalle politiche di mitigazione adottate”.
Si sofferma sulla storia della concentrazione di anidride carbonica sulla Terra e riporta dati dell’autorevole rivista “Science” da cui risulta che “l’attuale concentrazione di CO₂ in atmosfera è la più alta degli ultimi 14 milioni di anni”.
Fa un lungo excursus sulla raccolta dei dati metereologici a terra e in atmosfera, attraverso i satelliti artificiali metereologici, sull’effetto serra e sulla composizione e concentrazione dei gas in atmosfera e osserva che il vapore acqueo è presente in quantità molto maggiori rispetto agli altri gas serra e che il suo impatto sul clima è molto più importante rispetto al CO₂, e che il problema è nell’eccesso di CO₂ in una superficie ricoperta di foreste tropicali, ridotta del 10% in 100 anni, a livello globale.
Riporta uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, secondo cui “intorno al 2040” a causa della deforestazione, la foresta amazzonica “potrebbe emettere più CO₂ di quanta ne assorbe”.
Altro argomento importante, determinato dal cambiamento climatico, è l’aumento medio del livello dei mari globali, di circa 24 centimetri dal 1880 al 2023, di cui 10 centimetri si sono aggiunti negli ultimi 30 anni.
È un fenomeno che ha impatti differenti nelle varie zone della Terra. Produce erosione costiera che si aggiunge alla subsidenza, cioè alla tendenza naturale a sprofondare di alcune porzioni di crosta terrestre, causata dall’eccessivo prelievo d’acqua dalle falde.
“L’innalzamento di alcuni centimetri del livello del mare agisce, in prima battuta – scrive – sull’impatto delle tempeste; si stima che, per ogni centimetro di aumento in più, le onde generate da una mareggiata riescano a spingersi 10 metri in più nell’interno […] una maggior penetrazione dell’acqua marina nell’interno comporta anche un aumento delle infiltrazioni saline, che contribuiscono a degradare la vegetazione litoranea […] Secondo la proiezione a oggi più probabile, infatti, il livello medio dei mari dovrebbe crescere di altri 20-25 centimetri entro il 2050 […] Nella speranza di non scivolare verso gli scenari più pessimistici (50-60 centimetri entro metà secolo),l’aumento previsto sarà più che sufficiente non solo per modificare irreversibilmente i litorali, ma anche per rendere le mareggiate dei veri e propri flagelli”.
Propone di mettere in atto non solo strategie di adattamento con interventi infrastrutturali di messa in sicurezza della costa ma anche di “orientate alla ricollocazione fisica e lavorativa di milioni di persone che dovranno fare i conti con un mare sempre più invadente”.
Fra le cause dell’innalzamento del livello medio dei mari cita due processi, “la dilatazione termica, cioè la proprietà dell’acqua di occupare più volume quando si scalda e la fusione delle calotte dei ghiacciai montani”.
Anche la banchisa polare nord è destinata a una considerevole riduzione di volume, nell’estensione estiva e autunnale della banchisa, a causa dell’aumento della temperatura media terrestre, e qualcosa sta cambiando anche nell’Antartide ove “le correnti oceaniche, sempre più calde, vanno a indebolire la banchisa e le piattaforme di ghiaccio alla base, riducendone lo spessore e quindi la resistenza all’azione delle onde”.
A parere dell’autore queste minacce potrebbero essere arginate intraprendendo da subito “un processo di adattamento che consenta di limitare i danni e garantisca un adeguato fabbisogno produttivo” e garantisca soprattutto “una drastica riduzione delle emissioni di gas serra” perché il riscaldamento climatico attuale avviene troppo rapidamente e “non permette agli ecosistemi di rispondere alla sollecitazione in maniera adeguata”.
Altro concetto importante che viene sottolineato è il rischio che il sistema termoalino atlantico si fermi – la corrente del Golfo, ovvero la “circolazione planetaria delle correnti oceaniche profonde che contribuiscono a ridistribuire il calore a livello globale” – e assieme all’aumento del gas serra si creino due “forzanti climatiche estreme sovrapposte[…] i cui effetti sommati sono, a oggi, inimmaginabili”.
È assolutamente necessario, perciò “tagliare drasticamente il consumo di combustibili fossili” che determinano questi dannosi effetti.
L’autore elenca le principali “conseguenze documentate e quantificate dell’aumento [di 1.2°C.] delle temperature globali avvenuto negli ultimi 100 anni, riprese dal sesto rapporto sul clima dell’IPCC del 2021”.
Elenca le previsioni fosche dell’ultimo report IPCC, nel caso la temperatura della Terra dovesse salire ancora di un altro grado e mezzo entro il 2100.
Conclude il saggio suggerendo strategie e strumenti utili per risolvere il problema del cambiamento climatico: la mitigazione e l’adattamento.
Invita a non cedere all’apatia e alla menzogna, ad informarsi e a divulgare le buone pratiche che già incominciano ad essere utilizzate in molte parti del mondo.
Il libro, oltre al valore documentale scientifico, contiene interessanti schede informative a chiarimento di fenomeni e concetti espressi nel testo.
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sabato, 1 febbraio 2025 – Anno V – n°5/2025
In copertina: l’uragano Milton – Foto: www.aerospacecue.it