sabato, Aprile 20, 2024

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Quando Papa Giovanni portò la pace tra USA e URSS

Nel 1962 Kennedy e Krusciov si accordarono sui missili di Cuba

di Ettore Vittorini

Nella intervista di martedì al “Corriere della Sera”, Papa Francesco ha rilanciato il suo appello alla pace e ha ribadito la volontà di “incontrare il presidente Putin a Mosca”. Ha ricordato che già nei primi giorni della guerra in Ucraina aveva incaricato il segretario di Stato del Vaticano – cardinale Pietro Parolin – di organizzare quell’incontro. «Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo, anche se temo che Putin non possa e voglia fare l’incontro in questo momento. Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla? – aveva detto il Pontefice».

La risposta è poi arrivata mercoledì con una nota del portavoce del Cremlino, Peskov, il quale ha dichiarato: ”Non esistono accordi sull’incontro e tali iniziative passano attraverso i servizi diplomatici”. Putin non si è degnato di rispondere direttamente al Papa.

Se facciamo un passo indietro nella Storia, l’intervento di Francesco ci riporta alla mediazione di un altro Pontefice – Giovanni XXIII – nel corso di un pericoloso conflitto strategico tra Stati Uniti e Unione Sovietica: si trattava della crisi per i missili di Cuba, che nell’ottobre del 1962 avrebbe potuto far scoppiare la terza guerra mondiale.

Quella tensione era nata l’anno prima quando gli americani avevano deciso di far cadere il neonato governo di Fidel Castro attraverso l’invasione dell’isola di “volontari” organizzati e armati dalla CIA. Vennero fermati nella Baia dei Porci dalle truppe castriste con l’appoggio di tutta la popolazione.

Il pericolo di un’altra invasione spinse il Governo cubano a chiedere l’appoggio dell’URSS che oltre agli aiuti economici inviò segretamente nell’isola alcune batterie di missili installati a 90 miglia dalla Florida. Gli americani li individuarono e oltre a imporre a Mosca l’eliminazione di quelle armi, decisero il blocco di Cuba e minacciarono di attaccare con la flotta i mercantili sovietici carichi di altri missili.

Erano le premesse dello scoppio di una guerra. Intervenne subito Papa Giovanni, il quale il 22 ottobre inviò un messaggio al presidente John Kennedy e al capo del Cremlino Nikita Krusciov, diffuso contemporaneamente in tutto il mondo dalla Radio vaticana. Il messaggio diceva: «Noi ricordiamo i gravi doveri di coloro che hanno le responsabilità, che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze».

Papa Giovanni XXIII

Il 26 ottobre giunse a Washington una lettera da Mosca con la quale si accettavano le richieste degli USA in cambio dell’impegno di non aggredire Cuba. Contemporaneamente le navi sovietiche tallonate dalla flotta americana lasciarono il Mar dei Caraibi e tornarono in patria; le rampe dei missili già installate vennero smantellate.

Tra le due potenze era ripartita la diplomazia: poco tempo dopo gli americani tolsero i propri missili puntati verso l’URSS dalla Turchia e dalla Puglia e in seguito tra Mosca e Washington venne realizzata la “linea rossa” che permetteva ai due presidenti di parlarsi direttamente. Incominciavano così ad attenuarsi i rigori della guerra fredda grazie a Giovanni XXIII e alla levatura politica e morale dei capi di Stato delle due potenze avversarie.

Anche oggi Papa Francesco è intervenuto usando le stesse accorate parole del suo omologo di sessant’anni prima, ma non è stato ascoltato né da Putin né da Biden. Mentre il presidente USA e il suo staff si dimostrano incapaci di gestire la politica estera, dall’altro fronte Putin rimane irremovibile. La sua caparbietà è simile a quella dei peggiori Zar della Russia ottocentesca e i suoi ubbidienti collaboratori appartengono ai Boiardi, gli oligarchi arricchitisi col crollo del regime comunista alle spalle della popolazione, calpestando, tra l’altro, ogni tipo di diplomazia. Non dimentichiamo che nelle settimane precedenti all’invasione dell’Ucraina capi di Stato e di governo europei si erano recati a Mosca e che il capo del Cremlino aveva loro dichiarato che le truppe che si “esercitavano al confine” non lo avrebbero mai superato.

Invece lo hanno fatto e con la guerra è scoppiata anche la propaganda con una massiccia disinformazione all’interno della Russia e all’estero. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov – uno degli uomini più fidati di Putin – è subito intervenuto sui media sempre con parole minacciose senza aprire uno spiraglio a possibili trattative. L’ultimo suo exploit lo ha manifestato con un’intervista su “Rete Quattro” della berlusconiana Mediaset, sostenendo che “anche Hitler aveva origini ebraiche” e quindi “non sarebbe una contraddizione che Zelenskji – il presidente ucraino ebreo – guidi una nazione di nazisti”. Lo Stato di Israele, che nella crisi manteneva una posizione equidistante, ha protestato duramente per le offese alla popolazione ebraica da parte del capo della “diplomazia” russa.

La “Quattro” aveva ogni diritto di promuovere l’intervista, anzi ha fatto uno scoop, ma l’intervistatore avrebbe potuto porre anche qualche domanda all’intervistato, come fanno tutti i giornalisti in questi casi. Comunque l’Italia dimostra di dare la possibilità di esprimersi anche agli ”avversari”. E così viene fatto spesso dal Talk show “Otto e mezzo”, diretto da Lilli Gruber, dove quasi tutti i giorni compaiono in diretta giornalisti russi.

Ma il dialogo è reso difficile: i loro interventi sono pieni di propaganda; non usano mai la parola guerra, ma “operazione militare speciale”, come vuole il presidente Putin; le distruzioni delle città ucraine, le fosse comuni, sono a loro avviso delle falsità, nonostante il contrario venga dimostrato dalle immagini e dalle corrispondenze di tanti giornalisti occidentali nelle zone in guerra.

Di fronte alla nuova “cortina di ferro”, l’Occidente annaspa disordinatamente: oltre agli USA che riescono soltanto a criminalizzare l’avversario russo, l’Europa naviga come una nave alla deriva priva di comandante. Le sanzioni per il momento non sembrano avere provocato gravi problemi all’economia russa. Gli effetti più tangibili hanno colpito gli oligarchi, ma soltanto nell’impedire loro di godersi le lunghe vacanze nel Mediterraneo a bordo degli enormi yacht o nelle splendide ville comprate in Italia e sulla Costa azzurra, mentre i portafogli si sono sgonfiati di poco.

Oltre alle sanzioni, l’Europa ha censurato gli interscambi della cultura e dello sport. In Italia si era arrivati a impedire stupidamente un convegno su Fedor Dostojevski, concerti di autori russi dell’secolo XIX, come se le loro opere fossero diventate “pericolose”. Peraltro l’autore di Delitto e castigo era ucraino. La democratica Europa ha dimenticato che la cultura e lo sport avvicinano i popoli.

Infine è molto triste constatare l’atteggiamento della Chiesa ortodossa russa: l’arcivescovo Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, ha appoggiato apertamente l’invasione dell’Ucraina e non si è mai espresso sulla pace, anzi ha definito l’Occidente come un mondo di nazisti e di debosciati che “usano le parate gay come simbolo di libertà”. Papa Francesco ha detto di lui che “non può fare il chierichetto di Putin”.

Sabato, 7 maggio 2022 – n° 19/2022

In copertina: Nikita Khruščёv e John Kennedy nel 1961 – Foto: U. S. Department of State in the John F. Kennedy Presidential Library and Museum, Boston – dominio pubblico

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