mercoledì, Aprile 24, 2024

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Morire per una ciocca di capelli fuori posto

Mahsa Amini uccisa dalla polizia di Teheran

di Elio Sgandurra

Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni di una cittadina del Rojilat – Kurdistan iraniano – è morta per le torture subite in un carcere di Teheran dopo essere stata arrestata e picchiata a morte dagli agenti della Ershad, la polizia morale del regime teocratico. Il motivo dell’arresto? “Indossava il Jihab – il velo copricapo – in maniera non appropriata facendone uscire una ciocca di capelli”.

Il drammatico episodio potrebbe appartenere a un racconto delle Mille e una notte, la celebre raccolta di fiabe scritte nel Novecento dopo Cristo da autori orientali. Invece è un fatto di cronaca avvenuto pochi giorni fa nella capitale dell’Iran, una nazione dominata dal regime islamico degli Ayatollah, guidato da uomini – da definire sessualmente repressi – che schiavizzano le donne nel nome di una religione che impone loro di nascondere il proprio corpo. I torturatori di Mahsa si erano addirittura “scandalizzati” per una ciocca di capelli fuori posto.

La protesta per la morte della ragazza, partita dalla regione del Kurdistan è poi divampata in tutto il Paese, a Teheran, a Isfahan, a Tabriz, nelle università. Giovani donne si sono tolte il velo in pubblico, hanno tagliato i capelli e si sono riversate nelle strade insieme ai mariti, ai fratelli. Migliaia di giovani dei due sessi hanno formato cortei gridando “libertà, morte ai dittatori “.

È scattata subito la repressione del governo la cui polizia ha provocato la morte di oltre 30 manifestanti – sino a venerdì – e compiuto centinaia di arresti. Inoltre le autorità hanno oscurato internet che già da tempo subiva la censura. Il presidente Ebrahim Raisi ha promesso un’inchiesta sulla morte di Mahsa, ma nello stesso tempo ha ordinato ai “guardiani della rivoluzione” di porre fine con tutti i mezzi ai “disordini degli scalmanati”. Giovedì, Raisi che si trovava a New York per l’assemblea delle Nazioni Unite, giorno in cui avrebbe dovuto anche incontrare la giornalista della CNN americana Christiane Amanpour, non è andato all’appuntamento perché la donna non aveva indossato il velo.

Il primo commento della scrittrice iraniana Azar Nafisi, che vive in Esilio negli Stati Uniti, è stato: “Le donne iraniane lottano per la libertà contro un regime che le reprime perché ha paura”. Autrice di “Leggere Lolita a Teheran” un libro diffuso in tutto il mondo non islamico, racconta di quando venne cacciata dall’università di Teheran – dove insegnava letteratura americana – e continuò a insegnare clandestinamente a un gruppo di ragazze leggendo e discutendo sui libri messi all’indice dal Governo islamico.

Nel suo ultimo libro “Quell’altro mondo” (Adelphi), racconta l’Iran di prima della rivoluzione khomeinista del 1979. La famiglia di Azar Nafisi apparteneva all’alta borghesia, il padre era stato sindaco di Teheran e la madre la prima donna deputato. Le donne iraniane avevano ottenuto il diritto di voto ancor prima della Svizzera e potevano vestirsi come volevano.

Chi è stato in Iran a quei tempi ricorda una società evoluta soprattutto nelle città. I giovani seguivano le mode dell’Occidente, dalla musica all’abbigliamento, la letteratura, il cinema, l’arte straniera senza subire censure, le università erano aperte ai dibattitti tra professori e allievi. A Teheran esisteva una “Libreria marxista” che dopo la “rivoluzione” venne incendiata con tutti i libri dai pasdaran islamici.

È vero che prima il potere laico era in mano allo Scià Reza Pahlavi i cui governi limitavano la democrazia e la polizia segreta – la Savak – aveva mano libera nell’arrestare gli oppositori. Ma la durezza era rivolta soprattutto contro i musulmani oltranzisti. L’Ayatollah Khomeini fu arrestato e mandato in esilio.

Lo Scià voleva modernizzare il Paese creando industrie, dando spazio alla borghesia laica delle città, ma trascurando le campagne, le regioni più povere, ancora ferme al Medioevo. Non essendoci nel Paese una opposizione politica di tipo occidentale – come la socialdemocrazia – la maggior parte della popolazione seguì la propaganda degli islamici sino a rivoltarsi e cacciare Reza Pahlavi.

Col ritorno di Khomeini, divenuto la guida del Paese, il potere degli ayatollah ha cancellato la storia dell’Iran con le sue tradizioni, la sua antica cultura ed ha rimosso l’identità di ogni individuo. Al posto della Savak sono subentrati i pasdaran più feroci “guardiani della rivoluzione” mentre il Paese è precipitato nel peggiore oscurantismo.

Negli scontri tra manifestanti e guardie rivoluzionarie si contano attualmente 31 vittime tra i civili.

Sabato, 24 settembre 2022 – n° 39/2022

In copertina: Mahsa Amini – Foto: Iran Center for human rights

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