lunedì, Dicembre 09, 2024

Lifestyle, Società

Le “Memorie Sonore” di Mirco Roppolo

Strumenti e racconti vintage di trasmissione e riproduzione sonora

di Laura Sestini

Mirco Roppolo è disc-jockey e speaker radiofonico. La sua passione per la musica e per gli strumenti attraverso cui fruirla è nata quando ancora era bambino, periodo in cui lui stesso ha iniziato a costruire alcuni semplici apparecchi per la trasmissione sonora.

La tecnologia avanza vorticosamente, le musicassette attraverso cui ascoltavamo musica o memorie di amici e parenti non esistono più da tempo, sostituite dai CD digitali… Ma perché eliminare tecnologie che potrebbero tuttora funzionare perfettamente, per immettere sul mercato qualcosa di più “moderno”? Le tecnologie possono convivere? Questa è una delle domande che Roppolo, anche collezionista e restauratore di vecchie radio, giradischi e magnetofoni, oggi considerati oggetti vintage, si pone da tempo.

Con lui abbiamo intrattenuto un’interessante conversazione sugli apparecchi vintage che colleziona, attualmente esposti al MMAB di Montelupo Fiorentino fino all’11 giugno, un luogo che non è solo biblioteca e museo, ma anche luogo di produzione culturale e di riflessione sull’arte.

Come nasce in lei la passione per le apparecchiature musicali, tipo radio, giradischi e vinili, ormai considerati oggetti vintage?

Mirco Roppolo – La radio è una tecnologia meravigliosa, ma se lo dico, sono troppo di parte? Io ho iniziato la passione per la radio attraverso la parte tecnica, cominciando a vedere come erano costruiti questi apparecchi. A otto anni ho costruito il mio primo trasmettitore FM. Negli anni ’80 andavano di moda i kit di montaggio. In quel momento c’era l’esplosione del fai-da-te, non solo bricolage di mobili, di un po’ di tutto ed anche per l’elettronica. In pratica nel kit che si acquistavano c’erano i pezzi da assemblare, magari per una radiolina con la sua schedina, o circuiti luce o altro. Allora c’era anche la scuola Radio Elettra, a distanza, le cui lezioni a fascicoli arrivavano per posta con i pezzi con cui costruire anche una televisione a colori, ma io ero piccolo e i prezzi erano molto alti. Poi da più grande ho frequentato la Scuola di elettronica delle telecomunicazioni, dove ho conosciuto tutto il mondo analogico. La scuola Sarrocchi di Poggibonsi, oggi a Siena, era già avanti a quei tempi, avevamo anche i primi computer e nel 1991 usavamo i primi fogli di calcolo. Ma già prima di tutto ciò ho avevo avuto la fortuna di incontrare un radioamatore, che pure lui si costruiva gli oggetti da sé, che mi ha insegnato il funzionamento delle valvole, quindi aiutandomi a progredire nella conoscenza. La cosa è nata un po’ per scherzo, ma oggi è il mio lavoro. Quindi dagli anni ’90 ho iniziato a riparare gli apparecchi, che ancora non erano troppo vecchi, perché prodotti fino agli anni ’70. E’ evidente che non ero un bambino che amava a giocare a pallone.

Cosa la incuriosisce o le piace di più in questi strumenti?

M.R.: – La cosa che mi ha sempre incuriosito di più è il loro funzionamento. Certo, riparare una radiolina era abbastanza facile, ma la trasmissione a distanza era molto affascinante. Capire come creare questo apparecchio che trasmette e, anche nel processo inverso, costruire un ricevitore di segnali. La soddisfazione di costruire qualcosa da sé, non è essere solo un utilizzatore di una App, come succede adesso, che fa qualcuno per te, ed anzi ti guida nel fare qualcosa. I componenti elettronici da soli non servono a nulla, assemblati generano qualcosa, come una radio o un trasmettitore.

A sinistra, Mirco Roppolo

Lei è un disc-jockey e speaker radiofonico. La qualità della musica è migliore attraverso la tecnica digitalizzata o rimangono preferibili le modalità del passato?

M.R.: – Il confronto non ha un gran senso e spiego perché. Quello che si ascoltava 60 anni fa non è ciò che si ascolta oggi e anche l’approccio musicale è completamente diverso. Però ci sono prodotti di alta fedeltà, cioè un suono o una musica registrata che quando vado a riascoltare è il più fedele possibile all’originale, senza perdere la qualità; il cui concetto di qualità era molto importante, soprattutto negli anni ’50/60 quando c’era molta ricerca in tal senso. Nel tempo si è sviluppato un prodotto che voleva essere più fedele possibile alla qualità del suono, mirato alla fascia medio-alta della popolazione. Negli Anni ’60 è stato brevettato il marchio 45/500, il marchio dell’Hi-Fi, in particolare Philips ci ha investito molto. Quindi tutti gli apparecchi che riportavano questo marchio, dovevano corrispondere a certe caratteristiche di registrazione e riproduzione. Questa importante ricerca, ad un certo punto è sparita, ed oggi potremmo avere strumenti che hanno un’altissima fedeltà, ma nessuno li certifica, perché nessuno sa come sfruttare questo potenziale. Oggi abbiamo “l’orrido” bluetooth, da cui deve transitare una canzone o una voce, ma nessuno conferma che il prodotto mantenga caratteristiche di qualità. Con il digitale c’è un potenziale altissimo, infatti io nel mio studiolo di registrazione effettuo passaggi in digitale da una trentina di macchine vintage. Attualmente ho un fondo di Alvaro Company, chitarrista importantissimo fiorentino, da digitalizzare. Nastri di 60 anni fa su apparecchi vintage che suonano da dio, che non perdono assolutamente la fedeltà originale della musica e la trasferiscono identica in digitale. E’ chiaro che poi per riascoltare tale fedeltà devo avere gli strumenti giusti, non certo usare il bluetooth, che perde già il 50% in qualità. Basta ri-mettere un cavo e la qualità si ritrova lì al suo posto. Dammi allora la possibilità di usare tutte queste tecnologie, vecchie e nuove; invece è la politica del mercato che decide. Le macchine del passato non cambiano la qualità, ho nastri degli Anni ’60 e ’70, cuffie in testa, che suonano come se fossero registrati ieri. Quello che registro oggi, con tutta la tecnologia che potrei avere, funzionerà anche domani? Tra 60 anni? L’esempio calzante è il CD: supporto nato digitale WA-PCM, che se io perdo un pezzo del puzzle, perdo tutto. Non è come per il vinile che ha un graffietto, il resto non lo perdo, e in post-produzione trovo un filtro per restaurare l’audio. Il CD se perde una tessera diventa vuoto. Un fatto gravissimo, perché tra 60 anni non avrò più memoria delle mie registrazioni. Il nastro sfida il tempo, anche se può avere qualche difetto fisico. Oggi potremmo avere una Ferrari, e andiamo ancora in giro con una macchina sgangherata, ma che ha un motore potentissimo. Questo è il paradosso di tutta la società moderna. Si parla di intelligenza artificiale e poi si muore di cancro, o di fame. La tecnologia sembra un po’ sfuggita di mano. Non sono contro la tecnologia, ma non tutte le invenzioni tecnologiche sono utili, capricci industriali. I nastri magnetici sono in produzione ancora oggi. Perché? Perché tutta la tecnologia digitale, i plugin, ecc., non riescono ad eguagliare quella tecnologia che, con le equalizzazioni, si può sfruttare al suo massimo potenziale. Certo, tutte le componenti dell’impianto acustico devono avere lo stesso livello di fedeltà, cioè non si può avere un giradischi gamma top, se poi lo colleghiamo alle casse con il bluetooth, ci vuole equilibrio. Non c’è meglio o peggio: vince lo strumento che dura più nel tempo e che può essere sfruttato al meglio nelle sue qualità. Casualmente la tecnologia analogica è difficile da soppiantare. Ci sono persone, come faccio anche io, che ridanno vita agli oggetti del passato e ne rimangono sorpresi. Ho spezzoni di concerti jazz del 1968 che ascoltandoli sembra di essere al concerto stesso. Naturalmente ci sono musicisti che registrano i loro master in digitale in alta fedeltà e se li ascolti in cuffia hanno gli stessi effetti.

Quanto le persone, native digitali, sono legate a metodi di ascolto più vintage?

M.R.: – In questo senso sto tenendo dei laboratori agli studenti, delle iniziative con la famiglia Castelli, con cui sono entrato in contatto grazie alla giornalista Sonia Bedeschi di Mediaset che si è appassionata agli apparecchi vintage della mia collezione. Gli incontri che coinvolgono le scuole hanno come obiettivo far conoscere il funzionamento pratico di questi apparecchi e la tecnologia analogica. I ragazzi si divertono molto, perché usiamo un approccio accattivante sotto forma di spettacolo. L’ultima volta gli insegnanti hanno assegnato dei testi e il compito di una finta intervista al patron Arrigo Castelli, quindi gli studenti hanno inventato un programma radiofonico, registrando sul nastro la loro voce. Nella mia collezione Geloso ho pezzi doppioni che, non solo uso per le mostre, ma anche faccio usare. I ragazzi rimangono molto colpiti da queste vecchie tecnologie, e chissà, qualcuno potrà appassionarsi. A luglio terrò un incontro a Coltano (PI), dove si parlerà di radio e dell’importanza di certi tipi di trasmissioni audio. Se una tecnologia funziona perché si vuole eliminare? Perché non va più di moda? Questo è ciò che vogliono farci credere. L’11 settembre la RAI ha spento le Onde Medie, in barba a noi utenti che paghiamo il canone. E’ un’azione politica, che non ha dato informazione di cosa si voleva fare, giustificandola poi con il fatto che fosse una tecnologia costosa, ma è falso. I trasmettitori di oggi consumano pochissimo. Si fa andare avanti le onde FM, le App, le tecnologie “moderne”. Recentemente è stata smantellata una torre di trasmissione radio a Milano, la torre di Siziano. Quella e la Torre di Coltano erano state inaugurate da Guglielmo Marconi in persona. Questi soli due impianti trasmettevano in mezza Italia. Sali in auto, fai un viaggio lungo e non perdi mai il segnale, la qualità dell’audio è un po’ peggiore delle onde in FM, però funziona, arriva ovunque, anche dove non arriva il telefono. La stessa cosa non si può dire della modulazione di frequenza. Perché radere al suolo una torre di trasmissione radio storica? Non interessa la memoria storica? E non se ne dà informazione alla popolazione, perché considerata tematica secondaria. All’inizio della guerra in Ucraina, di sera in Toscana, attraverso le onde medie si prendeva la radio ucraina. C’era modo di ascoltarla direttamente. Loro, in guerra, se non avessero le onde medie come farebbero a comunicare? Non certo con il telefono, il primo ad andare giù.

Lei è anche un collezionista di apparecchiature musicali del passato..

M.R.: – La prima collezione che ho iniziato sono state le cassette stereo 8, che quando io avevo circa 14 anni erano già “fuori gioco”, fuori produzione, sul mercato solo per circa 13 anni. Nel 1999 ho aperto un sito per spiegare il funzionamento di queste cassette con il nastro a ciclo continuo. Era un prodotto interessante che potevi usare in auto mentre guidavi, con una qualità di musica, a quei tempi, superiore alla media. La cassetta stereo 8 fu sostituita dalla più piccola musicassetta, più funzionale per dimensioni. Da allora mi sono appassionato al nastro magnetico, seguìto dai primi registratori a bobina, della Geloso, la più importante azienda a livello nazionale, che aveva anche dei competitivi altri concorrenti nazionali. Proprio quest’anno ho completato la collezione di tutta serie della Geloso, con anche le varianti di alcuni modelli, una collezione che va dal 1955 al 1972. Ho anche la collezione di tutti i magnetofoni Castelli, di cui ho conosciuto la famiglia produttrice, grazie a degli eventi a Milano. Quindi fin da piccolo ho iniziato a riparare questi oggetti e metterli da parte. Li usavo anche, e lo faccio tuttora. Negli anni ho collezionato circa 500 pezzi, tra radio, giradischi, magnetofoni, televisioni, registratori a bobine, un piccolo museo che mi è sembrato giusto far conoscere. Non una collezione per sé stessi, anzi al contrario, acquisto anche più oggetti dello stesso modello per farli conoscere e usare attraverso incontri e laboratori. Nel 2011 ho poi avviato il progetto “Memorie Sonore”.

Mirco Roppolo – a sx alcuni degli apparecchi della sua collezione.

I suoi pezzi da collezione sono attualmente esposti a Montelupo Fiorentino, una mostra intitolata “Memorie sonore”. Di quali memorie si tratta?

M.R.: – Le memorie sono moltissime e in più ambiti. Nel periodo d’oro per l’elettronica italiana, l’azienda Geloso era in contatto con la Nasa perché aveva inventato il comando vocale: se tu parlavi il nastro registrava e se stavi in silenzio si metteva in pausa. Nella foto iconica dell’Apollo 11 di ritorno dalla Luna del 1969, c’è il Geloso Vocemagic 681. In quel periodo erano molti i brevetti italiani per l’elettronica. Un’altra azienda importante era la milanese Lesa, che produceva giradischi ed aveva brevettato il Cadis, nel 1948, quel meccanismo automatico che fa cadere i dischi uno sopra all’altro, cioè un giradischi che caricava più dischi tutti insieme, che via via che uno terminava iniziava quello dopo. In quel momento l’Italia era caput mundi del settore insieme alla Germania. Alcune cose in quel periodo venivano costruivate per la Rai, l’Italia era al passo con le multinazionali straniere. Storie, memorie, interessantissime. Ho anche conosciuto un signore che lavorava alla Geloso, quindi storie vissute, che ha raccontato che l’azienda aveva più donne al lavoro che uomini. E che ora si vive in un mondo assurdo; secondo lui eravamo più avanti negli anni ’60 che oggi. Quindi è importante conoscere la storie e anche chiedersi cosa è successo nel frattempo. Le tecnologie passate scompaiono e non se ne sa più nulla, fondamentale invece è mantenere la conoscenza di quegli anni di avanguardia. Oggi si parla tanto di Made in Italy, ma quello era il vero prodotto italiano, tutte componenti italiane. A Bologna c’era una fabbrica di condensatori, non si compravano in Cina come adesso. La Siemens e la Philips avevano le partner italiane, aziende che producevano i loro componenti. Oggi per costruire qualcosa ci metti un attimo con il computer, ma se poi vedi come erano progettate “con la riga e la squadra” le tecnologie di 60 anni fa, che tuttora funzionano perfettamente, allora si capisce ancora di più la loro qualità.

https://www.mircoroppolo.net

https://www.stereo8.net

Sabato, 3 giugno 2023 – n°22/2023

In copertina: tutte le immagini, courtesy Mirco Roppolo

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