martedì, Marzo 19, 2024

Italia, Politica

Lampedusa e la questione ‘migranti’

Cronache lampedusane

di Laura Sestini

Una volta raggiunta Lampedusa, meta non proprio facile in tempi di Covid-19, l’intenzione era di incontrare il sindaco Martello. Nonostante avessi inviato una prima email diretta all’indirizzo del primo cittadino e, in seguito, avessi ricevuto precise indicazioni sull’invio di una Pec all’Ufficio Protocollo del Comune di Lampedusa e Linosa, non è successo niente, e nessuno si è fatto vivo con noi. Durante il soggiorno a Lampedusa, abbiamo richiesto a chi di competenza i numeri dei migranti presenti all’hot spot, ma non abbiamo ricevuto informazioni puntuali. Fortuitamente, ma da fonte certa di Croce Rossa, sono venuta a conoscenza che in totale erano 24 persone – tutti uomini tunisini – e nel tardo pomeriggio del 26 marzo sono state trasferite sulla nave-quarantena Rhapsody approdata a Cala Francese. Al contrario era stato riferito che erano una ventina, misti uomini e donne, tutti provenienti dall’Africa Subsahariana. Non che cambi molto nei fatti, ma un piccolo sforzo per fornire dati precisi sarebbe stato riconosciuto come elemento appropriato di etica professionale.

Abbiamo quindi colto l’occasione per porgere le stesse domande – o quasi – ad alcune giovani cittadine, ovvero a coloro che saranno il futuro della magnifica isola mediterranea e – probabilmente – le stesse che dovranno vedere ancora per lungo tempo l’arrivo di barconi e barchini con migliaia di persone provenienti dai Paesi più poveri – se l’Europa non metterà a punto una politica più equa e garante dei diritti umani, per la pace e la buona convivenza di tutti.

Avete mai visto in presenza uno sbarco di migranti? Quanti anni avevate? D.: «Io sì, ma non ero proprio piccola. Non ricordo esattamente l’anno, forse il 2011, ma senz’altro era un periodo di grande affluenza di arrivi e la situazione sull’isola iniziò a complicarsi. Lampedusa fu presa letteralmente d’assalto e a noi – abituati a una vita molto libera, che ancora lasciavamo le chiavi nelle serrature delle porte di casa – questo viavai cambiò repentinamente le abitudini. Siamo stati come catapultati in una città, dove le libertà personali sono molto più limitate. Ero comunque già maggiorenne».
S.: «Io avevo circa 13 anni, e il periodo era più o meno lo stesso. L’effetto di tutte queste persone in arrivo, su di me, fu la paura».
M.: «Avevo circa 10 anni e anch’io provai paura, sensazione che aumentava se unita all’ansia dei genitori che non volevano più che uscissimo di casa».

Lo sbarco a cui avete assistito fu di giorno, oppure durante la notte? Cosa ricordate in particolare di quell’evento? D.: «Lo sbarco avvenne di notte, o forse a tarda sera. Era buio. Ciò che mi è rimasto impresso furono gli sguardi – di tutti – uno per uno di quelli che incrociai. Alcuni mi sembrarono tristi, altri di persone poco raccomandabili, se così li posso definire. In quello sbarco erano in maggioranza uomini. Giovani dai vent’anni in su. Non c’erano bambini».

Dal punto di vista umano cosa pensate di queste persone che vogliono raggiungere l’Europa?
D.: «Su questa domanda si potrebbe scrivere un libro. Dal punto di vista umano è una situazione inaccettabile, al di là della politica o delle ricadute sul turismo. Pensare che in quest’epoca ci siano ancora situazioni di questo genere è davvero impensabile. Il problema è sempre il denaro: ci sono Paesi ricchi e Paesi poveri sempre in guerra, da dove si cerca di scappare. Il nodo è questo. Però se vogliamo rapportare i migranti, per quanto riguarda gli arrivi sull’isola, ai lampedusani – qualcosa ti fa salire la rabbia perché la situazione diventa una sorta di guerra tra poveri. Lampedusa e i lampedusani hanno un sacco di problemi già di partenza, di cui non si parla mai. La stampa si è focalizzata solo sui migranti. Quindi, a lungo termine, tutto questo interesse ti fa arrabbiare, poiché con gli arrivi si creano ulteriori problemi per gli isolani. Non è una questione di razzismo, bensì di convivenza e di necessità. A quel tempo Lampedusa non era preparata a una tale affluenza, a differenza di oggi, e il Centro di accoglienza destinato a queste persone non era sufficiente ad accogliere tutti, quindi venivano ricollocate in tende lungo il porto, e fino a Cala Francese e naturalmente erano tutti liberi di girare, perché per legge non si possono rinchiudere. Una vera emergenza. Adesso, per contro, la stampa continua a riproporre immagini di repertorio di quegli anni, e a gridare all’invasione anche quando ci sono pochissime persone come in questo periodo. Personalmente amo girare da sola all’aria aperta, magari fare jogging, e non mi sentivo più a mio agio, mi sentivo limitata e avevo paura di incontrare qualcuno con cattive intenzioni».

M.: «Io sono vicina a diventare razzista, forse è meglio che stia zitta! Il sentimento razzista, anche se sto esagerando, è una conseguenza di ciò che si è venuto a creare nel tempo. I lampedusani, con la scusa degli sbarchi, rimangono sempre in secondo piano: nella pratica quotidiana, non solo per responsabilità dell’informazione. All’inizio avevamo tutti pena di queste persone, le accettavamo e le aiutavamo. Con il passare del tempo, ormai anni, la nostra vita è cambiata e anche noi siamo diventati più rigidi, meno sensibili. Per i residenti si sono creati disagi, anche solo di limitazione delle libertà. Anche i bambini in giro avevano paura».

Avete avuto dei problemi con i migranti? Siete a conoscenza di qualche episodio importuno contro le donne? D.: «No, sinceramente non posso dire di essere stata disturbata e non ricordo casi del genere. Ma l’impatto fu davvero forte e inaspettato. Chi abita in città è abituato a guardarsi intorno o a persone di differenti origini. Magari ti capitava di trovare qualcuno nel giardino di casa e non eri proprio contento. Diciamo che se uno ti fischia, non sai se si fermerà al fischio o gli verrà in mente qualcos’altro. Fino dove si poteva arrivare? Non mi sentivo troppo sicura di ciò che poteva accadere».

M.: «Neanche io in particolare ricordo qualcosa, ma talvolta poteva capitare che gli uomini ci guardavano in strana maniera, oppure ci fischiavano o dicevano cose scurrili. Noi non eravamo abituate a questo genere di cose. Qui ci conosciamo tutti, non succedono queste cose tra lampedusani. Quindi era una forma di violenza che subivamo, una situazione di disagio».

Lampedusa ha una posizione geografica che rende particolarmente attraente il tentativo di raggiungere l’Europa. I lampedusani aiutavano negli sbarchi? D.: «Si certo, un po’ tutti ci siamo adoperati per aiutarli. Umanamente è difficile rimanere insensibili se vedi persone povere o che soffrono. Ricordo di aver comprato a mio nome una scheda telefonica a un ragazzo che voleva mettersi in contatto con la sua famiglia. Però non ci si può aspettare che un problema così grande sia risolto dai lampedusani. In più, se c’è qualcuno che disturba, allora anche i fidanzati o i mariti sono più in tensione e stanno più attenti. La comunità dei lampedusani ha ‘ancora di più stretto solidarietà tra sé’ con i flussi migratori, è divenuta ancora più unita. Una sorta di contrapposizione sociale, e una contraddizione di sentimenti e comportamenti fuori dal comune. Eravamo molto combattuti nei sentimenti».

M.: «È capitato spesso che persone migranti passassero davanti a casa nostra e bussassero per chiedere acqua, pane o altre cose. Normalmente, i miei genitori, se potevamo, gli davano quanto richiesto. Facevano compassione. Anche soldi abbiamo dato ai ragazzini. Però se ci accorgevamo che se ne stavano approfittando, allora non donavamo più nulla».

Come pensate si possa risolvere il fenomeno migratorio verso l’Europa, che interessa direttamente Lampedusa da oltre 10 anni? D.: «Certamente non è qualcosa che i lampedusani possono risolvere da soli. Un bel passo in avanti potrebbe essere fare una selezione delle persone da far entrare in Italia/Europa. Alla fine, nessuno rimane a Lampedusa, anche se passano quasi tutti da qui. Io penso che ci sia molta delinquenza e, quindi, si dovrebbe stare attenti a chi far passare, chi abbia necessità di lavorare davvero e chi no. Io sono contro la possibilità che arrivino persone con cattive intenzioni. A livello politico non saprei cosa si potrebbe fare. Mi sembra che manchi la volontà di fare, che il sistema attuale miri a far rimanere le cose come sono: quindi, qualsiasi soluzione migliore, se manca l’ingrediente principale, non si potrà realizzare. Noi cittadini non abbiamo molte armi per un cambiamento vero o per la soluzione del problema delle migrazioni. Certo non bisogna fare il gioco della politica dell’indifferenza, che ti porta a diventare razzista, incattivito, perché i problemi non si risolvono mai. È chiaro che sia più facile incattivirsi con i migranti che hai di fronte che con una politica inarrivabile. È difficile rimanere obiettivi davanti a questa realtà. Le migrazioni sono pilotate, nella mia opinione. Altrimenti non riesco a darmi spiegazioni. Per esempio, rispetto al Covid, noi siamo chiusi da un anno, non vedo mia nonna da mesi e poi chi sbarca può circolare come gli pare. Ti arrabbi, ma alla fine è davvero un sistema che qualcuno vuole, che non si decide di far funzionare diversamente. L’immigrazione è un fenomeno che ci distrae da cose più importanti e, a mio avviso, voluto dall’alto. Quando ci sono sbarchi di persone ben vestite, con collane d’oro al collo, allora non credo più che sia un fenomeno spontaneo. Tra gli ultimi sbarchi è scesa una signora con un cappello da ‘regina’, con un cagnolino, occhiali neri, che sembrava una turista. In molti sbarchi non mi sembrava che le persone fossero sofferenti o arrivassero da una guerra. C’è molta incoerenza. Un’ultima cosa che vorrei aggiungere è che Lampedusa è conosciuta quasi esclusivamente per gli sbarchi, invece bisognerebbe arrivare qui e guardarsi intorno. Anch’io mi sento un’immigrata: a Lampedusa ci sono situazioni disagianti per i cittadini, al di fuori del fenomeno dei migranti. Qui non si può partorire, per esempio, non esiste una struttura minima ospedaliera. Non ci sembra possibile, nel 2021, doversi recare a un’ora di aereo per una tale necessità».

Sabato, 3 aprile 2021 – N° 10/2021

In copertina: Tra vecchio e nuovo porto di Lampedusa. Foto ©Laura Sestini (tutti i diritti riservati).

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