sabato, Luglio 27, 2024

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L’Afghanistan da Repubblica a Emirato dei Talebani

Gli Stati Uniti hanno abbandonato il Paese

di Ettore Vittorini

Domenica 15 agosto i Talebani sono diventati i padroni di Kabul, dopo aver conquistato in appena otto giorni l’intero territorio dell’Afghanistan. Adesso il Paese non è più una Repubblica, ma un Emirato. E’ stata un’avanzata velocissima, provincia dopo provincia, senza combattere – se non con qualche breve scaramuccia – perché le forze armate afghane si sono dileguate senza opporre alcuna resistenza. Trecentomila militari, addestrati e ben armati dalle truppe americane e dalla coalizione NATO – Italia compresa – non hanno potuto impedire l’avanzata dei 70 mila uomini delle bande islamiche.

Dopo 20 anni, gli alleati lasciano il Paese in base ad accordi presi a Doha tra gli USA di Trump e i Talebani; chiudono le ambasciate tranne quelle della Russia, della Cina, della Turchia, del Pakistan e dei Paesi della Penisola arabica.

“Adesso a Kabul è tornato il Medio Evo”, hanno commentato alcuni giornali. Ma ricordando il periodo in cui i Talebani hanno governato il Paese dal 1996 – anno del ritiro dei sovietici – al 2001, quando furono cacciati dalle truppe americane, sarebbe un grande complimento per loro un paragone col periodo medievale dell’Occidente e soprattutto dell’Italia e la civiltà dei suoi Comuni, delle Repubbliche marinare della genialità di Federico Secondo di Svevia.

Osservando i volti barbuti dei militanti e dei loro leader ripresi nel palazzo presidenziale di Kabul, appena occupato, costoro potrebbero essere paragonati a quei pirati barbareschi che infestavano in epoca medievale il Mediterraneo e facevano scorrerie lungo le località costiere della nostra penisola, depredando, uccidendo i maschi e catturando giovani donne. Rappresentavano per gli abitanti di allora “lo nero periglio che viene dal mare”. Li distinguono dai loro antenati nell’abbigliamento soltanto il mitra a tracolla – al posto delle scimitarre – e i cellulari.

La loro leadership alla conferenza stampa nel palazzo presidenziale ha ostentato volti sorridenti usando parole tranquillizzanti. Hanno promesso che i diritti delle donne saranno rispettati e sarà permesso loro di studiare ed essere attive nella società, ma secondo le regole della Sharia.  Si sa che questa legge coranica nega quei diritti elencati. A Jalalabad hanno sparato sulla folla che sfilava per protesta con le bandiere della Repubblica, uccidendo 35 persone.

Gli afghani non si fidano di quelle promesse e fuggono a decine di migliaia verso i confini col Pakistan e l’aeroporto di Kabul, prendendo d’assalto gli aerei con la speranza di potervi salire.    

Da Herat la seconda città più importante del Paese, arrivano notizie sul vero comportamento dei nuovi padroni. Hanno compiuto rastrellamenti casa per casa alla ricerca di coloro che hanno lavorato per il governo o per le truppe occidentali e dare inizio alla “vendetta”. Anche per identificare le donne nubili o vedove dell’età che va dai 16 anni ai 45 e darle in mogli ai membri dell’Emirato

Protagonista della debacle dell’Afghanistan è stata l’America che si è disimpegnata di colpo dalla “protezione” del Paese dove 20 anni prima “aveva esportato la democrazia”. Così aveva detto il Presidente George W. Bush quando inviò nel 2001 le truppe per vendicare l’attentato alle Torri Gemelle, compiuto dall’organizzazione terroristica Al Quaeda di Osama Bin Laden, ospite dei Talebani.

Dopo vent’anni di presenza americana costata alle finanze USA 2261 miliardi di dollari, il presidente Joe Biden ha liquidato tutta l’impresa con lo scaricabarile affermando: “I leader afghani hanno lasciato il Paese. L’esercito è crollato senza combattere”. Dunque si è scrollato di dosso le responsabilità che soprattutto erano degli Stati Uniti.

Il ritiro delle truppe americane è iniziato il 29 febbraio del 2020, quando il Presidente Trump ha firmato l’accordo di Doha con i Talebani. Il suo successore Biden non ha posto alcun cambiamento a quell’intesa, anzi non ha fatto niente per ritardare la repentina avanzata delle bande islamiche.

E’ vero che il presidente afghano Ashraf Ghani è fuggito. E cosa poteva fare? Aspettare che i talebani lo uccidessero come avevano fatto nel 1996 col presidente filosovietico Najibullah che venne evirato, trascinato da un’auto e finito a colpi di pistola?

I governi “democratici” imposti dagli USA prima col presidente Karzai e poi con Ghani, che oltre a navigare sul mare della corruzione, non rispecchiavano la multiforme società afghana. I militari non avevano voglia di morire per difendere uno Stato già debole e che ormai non esisteva più.

E adesso chi guiderà il futuro governo islamico? Dopo l’uccisione nel 2016, da parte di un drone americano, del capo Akhtar Mansur, il suo posto è stato preso dal religioso Hibatullah Akhundzada. Alla presidenza dell’Emirato è probabile che sia nominato Abdul Ghani Baradar, capo della delegazione ai colloqui di Doha.

La Cina che dopo aver accolto giorni fa gli inviati dei Talebani, adesso plaude alla loro vittoria. Si prepara alla colonizzazione economica dell’Afghanistan, ricco di risorse minerarie, come ha fatto con l’Africa.

Sabato, 21 agosto 2021 – n° 30/2021

In copertina: un gruppo di miliziani talebani nel Palazzo Presidenziale di Kabul Taliban Media

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