Come le foreste lavorano per la salute dell’ambiente e della specie umana
di Laura Sestini
Molto si dice – anche a sproposito e senza contare i negazionisti – sulla situazione ambientale contemporanea. Da poco uscito il primo volume del rapporto di IPCC – ente delle Nazioni Unite che si occupa della salute della Terra – gli esperti si esprimono senza ombra di dubbio ‘sull’inequivocabile responsabilità delle attività umane‘, quali cause del surriscaldamento della Terra e dei cambiamenti climatici in atto.
Per saperne maggiormente e con puntuale dettaglio, ci siamo rivolti a Giorgio Vacchiano – esperto di foreste e cambiamenti climatici – ricercatore e docente all’Università di Milano.
L’ultimo rapporto dell’IPCC delle Nazioni Unite mette ancora più in allarme per il disastro ambientale verso cui ci stiamo dirigendo. Allarmismo o realtà?
Giorgio Vacchiano: – “E’ interessante che lei nella domanda usi due parole simili ma differenti, ovvero ‘allarme’ ed ‘allarmismo’. Credo che questa sia la chiave di comprensione del rapporto di IPCC. Sicuramente c’è un allarme, che ci deve mettere in estrema attenzione a ciò che sta succedendo. Non ci deve essere allarmismo, poiché nella comunicazione risulta essere quasi sempre controproducente, rischiando di suscitare senso di paura, impotenza, sfiducia ed addirittura incredulità. L’allarme c’è, ma in realtà quanto pubblicato dalle Nazioni Unite è la prima parte di un rapporto, composto da tre volumi diversi, i quali prossimi due saranno disponibili all’inizio del 2022. Questo primo volume è una fotografia del nostro sistema climatico e delle sue modificazioni, che noi abbiamo causato. I prossimi volumi tratteranno degli impatti, quindi delle conseguenze di un ambiente così modificato, e in particolar modo sarà importante l’ultimo volume, che parlerà delle soluzioni che possiamo mettere in atto per scongiurare l’impatto, ossia – come si dice in gergo – ‘la mitigazione’ per evitare alla fonte che la situazione si aggravi; e ‘l’adattamento’, cioè cercare di affrontare le conseguenze delle modifiche che dovremmo comunque subire. A mio avviso è un peccato che le sezioni del rapporto escano in tempi differenti perché molti media hanno considerato che l’Onu abbia solo suonato l’allarme senza dare le soluzioni, quindi una sensazione di allarmismo.
In questa prima parte, si apprende che effettivamente la velocità con cui le componenti terrestri stanno cambiando, non hanno precedenti in un tempo molto lungo. In alcuni casi quasi pari alla storia umana. I livelli assoluti a cui è arrivata la temperatura globale oggi non si vedevano probabilmente da 125 mila anni, a livello di tutto il pianeta. In passato ci sono state singole parti che si sono riscaldate – anche più di oggi – per fenomeni naturali, ma mai simultaneamente a livello planetario. La stessa cosa vale per la velocità dell’innalzamento del livello dei mari, che mette a rischio centinaia di città costiere molto importanti nel mondo – tali New York, Miami, Shangai o Calcutta – e anche l’aumento degli eventi estremi. Quindi una realtà di cambiamenti senza precedenti da diverse migliaia di anni – che riguardano anche noi e non remote regioni. Questi diventano particolarmente pericolosi perché oggi la nostra società è molto meno adattabile di quanto eravamo migliaia di anni fa. Finché eravamo cacciatori e raccoglitori, spostarsi era molto facile, come risposta ad un cambiamento climatico, mentre oggi spostare una città come New York diviene molto difficile. Però in nessun punto il rapporto Onu fa allarmismo e dice che è troppo tardi. Anzi contiene diversi futuri, ossia, da quanto è successo fino ad ora ad una previsione di quanto accadrà a breve, le strade si dividono e si può ancora scegliere, tecnicamente in tempo – anche se molto breve – per scongiurare l’aggravarsi dei fenomeni. Come: riducendo le cause del riscaldamento del clima. La prima frase del rapporto riporta ”E’ inequivocabile l’influenza umana sul riscaldamento dell’atmosfera delle terre emerse e degli oceani”. Questa è anche una buona notizia, perché se siamo noi la causa, vuol dire che possiamo essere anche la soluzione. Non siamo di fronte a qualche mutamento geologico epocale o un asteroide che ci arriva sulla testa su cui non possiamo agire; siamo totalmente responsabili delle cause e quindi anche obbligati a risolvere la questione. Conosciamo già anche la soluzione, ovvero diminuire ogni anno la quantità di emissioni clima-alteranti del 7%. Un ritmo che ci permetterebbe di arrivare al 2050 con emissioni Zero, rispetto ai circa 40 miliardi di tonnellate di anidride carbonica che immettiamo ogni anno nell’atmosfera. Emissioni zero significa che le cose non peggiorano, ma dal quel momento ci attende un’altra sfida, riassorbire una certa quantità di CO₂ che abbiamo già emesso nell’atmosfera perché finché le concentrazioni saranno elevate, il clima sarà riscaldato, i ghiacci fonderanno e gli oceani si alzeranno. Quindi allarme sì ma non allarmismo, perché c’è ancora possibilità di contenere il riscaldamento globale entro un grado e mezzo, la soglia psicologica, ma anche biofisica entro la quale si riescono a evitare gli effetti peggiori.”
Lei è ricercatore di global warming: anche da profani sembra di scorgere dei cambiamenti climatici verosimili, per esempio uragani più numerosi, bombe di acqua repentine – anche in Italia – ed altri eventi naturali a cui non eravamo abituati. A quali conseguenze a breve termine potremmo andare incontro?
G.V. : -“Come lei evidenzia, si iniziano a notare anche nei nostri territori fenomeni eccezionali, per esempio la tempesta di vento di Vaia (che distrusse 14 milioni di alberi in poche ore).Non è la singola annata che segna il cambiamento climatico ma è la ricorrenza di questi fenomeni eccezionali, sempre più spesso. Incendi straordinari e piogge torrenziali a cui non eravamo abituati. L’ultima annata di forti incendi è stata il 2017, mentre la precedente era stata nel 2007. I tempi si stanno sempre più accorciando. Gli incendi sono una delle conseguenze più forti e chiare che il nostro Paese sperimenterà. Secondo le proiezioni del Centro Mediterraneo per cambiamenti climatici, la superficie preposta agli incendi potrebbe aumentare dal 20 al 40 per cento nella metà di questo secolo. Le ondate di calore e la siccità rendono la vegetazione più secca, o morta, che brucia più facilmente, propagando le fiamme con maggiore intensità e velocità. Tutti gli estremi verranno accentuati, con estati più secche ed autunno dove aumentano le piogge, ma non un po’ di più ogni giorno, bensì con molta più energia nell’atmosfera pioverà molto più forte di intensità, in modo o quantità che il suolo farà fatica ad assorbire. Questo è ciò che recentemente abbiamo visto in Germania: una forte perturbazione che è rimasta ferma sullo stesso territorio per oltre una settimana. All’inizio il suolo fa il suo lavoro, fino a quando è saturo e non può contenere più la pioggia. L’eccesso di acqua va a riempire i fiumi, causando alluvioni. Questa maggiore permanenza sui territori è un fenomeno che stiamo studiando attualmente. Ciò ha proprio a che fare con la modifica della circolazione atmosferica, cioè il modo in cui le grandi perturbazioni si muovono intorno alla Terra. Con il riscaldamento globale questo movimento rallenta, quindi le tempeste, ma anche le ondate di calore tendono a rimanere di più nella stessa area, creando danni maggiori. Oltre all’alluvione in Germania lo abbiamo visto anche ultimamente con l’ondata di calore di Lucifero, che è rimasta sopra il bacino Mediterraneo per oltre una settimana. Questi quindi sono i rischi a cui va incontro il nostro Paese e ci sono già dei dati e le osservazioni sui fenomeni che si stanno verificando. Se non riduciamo le emissioni – qui sta il nostro margine di azione – questi fenomeni si accentueranno e il surriscaldamento potrà superare 2° gradi ed oltre. Questi fenomeni non riguardano solo l’ambiente in senso naturalistico, ma secondo il Centro studi meteorologici del Mediterraneo si afferma che questi cambiamenti potranno ridurre il PIL dell’otto per cento annuo, ovvero la stessa riduzione causata dal Covid-19 nel 2020, per danni all’agricoltura e per la minaccia dell’innalzamento del mare per le città costiere: non solo Venezia – bensì anche Taranto, Cagliari, Palermo, Genova – che subirebbero gravissimi danni per l’innalzamento delle acque di quasi un metro entro fine secolo. Quindi una vera minaccia economica, per l’Italia e anche tutti gli altri Paesi.”
È proprio tutta opera delle attività umane l’inquinamento del pianeta? Siamo ancora in tempo per cambiare direzione o il destino della Terra è ormai segnato?
G.V. : – “Sì la causa sta al 100% nell’azione umana, e nel suo rapporto l’IPCC lo descrive precisamente; ed anche i dati e i modelli informatici di simulazione del clima terrestre – che ci permettono di fare ipotesi ed esperimenti – che direttamente sulla Terra non potremmo fare. Ad esempio i climatologi tentano di capire se senza le emissioni di anidride carbonica ed altri gas clima-alteranti per azione dell’uomo, la Terra si sarebbe ugualmente riscaldata dei 1,2 gradi C° degli ultimi cento anni. Nella simulazione al computer il surriscaldamento, su molte potenziali ipotesi, ha lo stesso risultato già in atto realmente sulla Terra, esclusivamente immettendo forzatamente l’elemento ’emissioni’ dell’inquinamento immesso nell’atmosfera dalle azioni umane. Non sono abbastanza le attività del Sole o delle eruzioni vulcaniche, o gli spostamenti dell’orbita terrestre – che anche i negazionisti del cambiamento climatico citano – per giustificare il cambiamenti atmosferici che sono avvenuti nell’ultimo secolo. L’IPCC ha usato un termine molto forte, che la scienza non usa praticamente mai, ovvero ‘inequivocabile’; la scienza si esprime sempre per probabilità, magari altissime, ma non per certezze inequivocabili. Quindi le conclusioni del rapporto sul clima hanno veramente un peso importante. Siamo ancora in tempo per cambiare direzione? Sì, lo abbiamo già sottolineato, ma non potendo ridurre tutte le emissioni da un giorno all’altro – con obiettivo 2050 – dobbiamo iniziare a lavorarci fin da oggi. Il Covid e i relativi lockdown – che hanno abbassato le emissioni del 7% – ci hanno insegnato che ciò è fattibile. Ma a livello nazionale, ovvero ciò non è possibile spegnendo la luce un po’ di più al giorno o chiudendo l’acqua mentre ci laviamo i denti, o la raccolta differenziata casalinga, bensì sono necessarie misure strutturali ed organizzate da prendere contemporaneamente in tutto il Paese. Il settore più importante – da cui dipendono la metà delle emissioni, sia in Italia che in tutto il mondo – è la produzione di energia. Quindi dovremmo iniziare a lasciare petrolio, gas naturale e carbone sottoterra ed investire fortemente su altre fonti energetiche de-carbonizzate: solare, eolico, geotermico. Abbiamo tecnologie per farlo, ma ciò richiede investimenti e potremmo iniziare spostando i 20 miliardi annui con cui lo Stato italiano sussidia le fonti fossili con soldi pubblici, a sostegno delle fonti rinnovabili. Questo spostamento di soldi è in parte previsto dal PNRR, ma si dovrebbe aggiungere anche il segmento dell’idrogeno, perché l’approvvigionamento dell’energia solare od eolica non è continua, essendo queste legate agli elementi naturali, e invece c’è bisogno di accumulare energia anche per la notte e di riserva. L’idrogeno è un buon accumulatore. Il segreto dunque sarà affidarsi alle fonti di energia rinnovabile e produrre idrogeno – naturalmente non usando fonti fossili; unitamente e in maniera radicale elettrificando anche tutte le grosse attività – come i trasporti, il riscaldamento/raffreddamento degli ambienti, le acciaierie, ecc. Tutto alimentato da fonti energetiche rinnovabili. Questa metodologia dovremmo richiederla con forza noi cittadini alla politica – su cui abbiamo influenza – per far sì che questi grandi cambiamenti avvengano davvero.”
Gli interessi primari della politica dovrebbero essere a tutela dell’ambiente e quindi dell’umanità. Al contrario molti Paesi industrializzati sembrano disinteressati alla sostenibilità ambientale.
G.V. : – “Gli interessi primari della politica dovrebbero essere la tutela dell’ambiente, quindi dell’umanità. Esatto. Il passaggio che manca è proprio qui: non solo ambiente, ma umanità elemento dell’ambiente, ed ecosistema in cui dobbiamo vivere. L’ambiente ci permette di coltivare, produrre cibo, di avere acqua da bere, di vivere in città sicure, e di rimanere entro temperature confortevoli che non raggiungano 50 gradi in estate. Quindi tutto deve essere rivolto verso la società e l’economia, quest’ultima ben quantificabile. Forse alcuni Paesi sono disinteressati perché non hanno consapevolezza di questo passaggio, e il clima o l’ambiente siano un accessorio, un’importanza secondaria rispetto alle attività umane o ciò che può generare reddito. Se gli eventi estremi continueranno a verificarsi, tutti i soldi prodotti dall’economia andranno a riparare i danni e proteggere le comunità dalle emergenze, continuando a sottrarre risorse per far girare l’economia ed il lavoro. Questi concetti li devono comprendere soprattutto i cittadini, perché se la comunità matura questa consapevolezza, allora esprimerà una classe politica che da questo punto potrà ripartire. Cero non è un’evoluzione facile, poiché la società umana finora non ha mai avuto necessità di pensare in questa maniera in 200 mila anni di storia della specie umana. Nessuno era stato finora chiamato a comprendere fenomeni su scala planetaria che collegavano posti lontanissimi tra loro, o che esercitavano i loro effetti a distanza di 30/40 anni. E’ un processo faticoso ma la realtà ci impone di prenderne atto e di evolvere velocemente il nostro cervello per affrontare la situazione.”
Lei è studioso di foreste. Saranno gli alberi a salvarci la vita?
G.V. : -“Ipotizziamo di riuscire ad azzerare le emissioni entro il 2050, quindi a non peggiorare la situazione; in atmosfera ci sarà però ancora troppa CO₂ immagazzinata. A questo punto per scongiurare il perdurare degli effetti negativi, soprattutto sugli innalzamenti del livello del mare, poiché gli Oceani sono molto vasti e rispondono più lentamente ai cambiamenti, dovremmo recuperare un po’ della anidride carbonica di troppo, togliendola dall’atmosfera. Allo stato attuale, l’unica realtà capace di fare questa azione sono gli alberi e le foreste, perché la CO₂ – come sappiamo – è il cibo delle piante. Loro ‘mangiano’ anidride carbonica trasformandola in legno e suolo. Questo avviene nel ciclo naturale delle emissioni di carbonio ma anche per le emissioni extra che l’uomo ha prodotto. Da quando anche noi abbiamo iniziato a produrre anidride carbonica con i combustibili fossili, le piante hanno aumentato la loro attività, accelerano il loro metabolismo. Di fatto hanno ‘mangiato’ di più, aumentando l’attività della fotosintesi e occupandosi di circa la metà delle emissioni extra. Questo avviene grazie alle foreste e agli altri esseri viventi fotosintetici marini, tipo le foreste di alghe, che equivalgono in quantità la forza degli alberi.”
Godono di buona salute le foreste a livello mondiale?
G.V. : – “Tutto ciò appena citato non potrà durare in eterno poiché anche le foreste e gli oceani subiscono l’impatto di cambiamenti climatici, e lo possiamo benissimo vedere con i numerosi incendi di questa estate: se una foresta brucia, per un periodo non potrà più fare il suo lavoro di foto sintesi e di pulizia dall’inquinamento atmosferico, attività di cui abbiamo un disperato bisogno. In questo momento le foreste mondiali sono ad un punto di svolta. Forse lo scenario che mi preoccupa di più delle 3900 pagine del report dell’IPCC è che se continueranno i cambiamenti climatici causate dall’uomo, le foreste del mondo potrebbero ‘spegnere’ la loro capacità di assorbire carbonio entro questo secolo. Quindi in brevissimo tempo, la capacità dell’attività di fotosintesi maturata in centinaia di migliaia di anni potrebbe improvvisamente finire, lasciandoci con l’atmosfera piena di CO₂. Questo avverrebbe perché le foreste soffrono degli incendi, della siccità e della deforestazione per attività dell’uomo – in Sud America, in Africa, in Indonesia – proprio nelle aree tropicali già di per sé fragili. La deforestazione a sua volta interagisce con la siccità, e i due fenomeni si aggravano a vicenda. Se questo trend continuerà, invece di poter contare sulla ‘tecnologia naturale’ degli alberi, sulle foreste ‘pozzi di carbonio’- come vengono definite – dovremmo rinunciarci. Per chi si occupa di foreste questa è la più grande preoccupazione e minaccia, che non riguarda solo il benessere delle foreste e degli animali che le abitano, ma anche l’attività di riassorbimento di anidride carbonica che operano per la specie umana, la prevenzione del dissesto idrogeologico e anche della fornitura del materiale. Il legno anche è un beneficio che le foreste ci danno. Di tutti i vantaggi che ci donano gli alberi e le foreste, difficilmente potremmo fare a meno.”
Gli alberi sono minacciati ovunque nel mondo, dalle grandi economie agricole neoliberiste, ai piromani per diletto fino alle organizzazioni mafiose che le riducono in discariche velenose.
G.V. : – “Nelle grandi economie agricole – specialmente in Brasile – ma anche in Africa per motivi di sussistenza e una forte esplosione demografica, c’è grande deforestazione. Negli anni che le condizioni di vita si fanno più difficili – compreso l’anno del Covid – le persone e le popolazioni esercitano una pressione più forte sulle risorse. In legno in molti casi in Africa è ancora l’unica fonte energetica, quindi un sovra-sfruttamento delle foreste a pro della sopravvivenza. Certo, si potrebbe citare anche del ruolo dell’economia liberista in questi luoghi e in particolare la colonizzazione e la decolonizzazione, in modo più indiretto. Questo dimostra ancora una volta come le questioni ambientali non possono essere scisse dalle equità sociali, di benessere e di qualità della vita. In Europa non abbiamo deforestazione, anzi abbiamo espansione della superficie forestale che tende ad occupare nuovamente territori che erano stati sottratti, man mano che l’agricoltura e i pascoli sono diminuiti; ma ciò non ci deve ingannare perché questo semplicemente delocalizza solo l’impatto, e soprattutto – come Europa ed Italia – importiamo moltissima deforestazione; cioè invece di coltivare qui da noi, acquistiamo prodotti che arrivano da altri Paesi, ma la deforestazione rimane e che siano nostre le foreste o di qualche altro, per l’impatto sulla Terra non fa differenza. Inoltre l’aumento della forestazione non mette al riparo gli alberi dai cambiamenti climatici, quindi ci obbliga a trovare dei modi per provare ad aumentare la loro resistenza. In questi giorni si è parlato molto di incendi e gestione del bosco e della vegetazione: le cause del fenomeno degli incendi sono articolate e più di una. Sicuramente le cause sono nelle mani di chi per dolo o distrazione innesca l’incendio ma sono anche a causa di siccità e cambiamento climatico che rende l’incendio più propagabile, ma anche per l’incuria e abbandono di aree più interne di quei luoghi rurali dove non si è gestito il territorio con l’occhio di una prevenzione del rischio. Senz’altro in alcuni casi è anche anche azione delle mafie per le loro attività malavitose, ma attribuire tutte le responsabilità a queste organizzazioni è alquanto surreale e pare soprattutto una modalità di giustificazione molto comoda di amministratori inadempienti o incompetenti per trovare per forza un colpevole preciso e ‘cattivissimo’ per un’emergenza già in atto. In Sicilia le convenzioni tra Regione, Corpo Forestale regionale e Vigili del fuoco per i mezzi antincendio sono state stipulate all’inizio di agosto, quando la stagione era già avanzata e caldissima. Molte responsabilità sono degli amministratori – non solo dei piromani – legate soprattutto alla cura del territorio in ottica di prevenzione e di cosa può accadere quando arriva la stagione secca che aumenterà le probabilità di focolai.”
Se molti cittadini sono sensibili all’ecologia, altrettanti sono indifferenti come non consapevoli di essere essi stessi parte dell’ecosistema. Come si possono risvegliare le coscienze?
G.V. : – “Ci sono due cose che possono aumentare la consapevolezza dei cittadini e il legame con gli ecosistemi e le foreste: una è smettere di considerare l’ambiente come un decoro, un accessorio, ed istruire le persone, i ragazzi , attraverso la scuola, i media e la politica. Il nostro benessere dipende dall’ambiente e anche la nostra salute dalla suo equilibrio. Abbiamo visto dalla pandemia quanto il degrado di foreste tropicali possa facilitare la trasmissione di virus e il salto di specie tra animali e uomo; questo dovrebbe averci fatto avvertire un campanello di allarme, perché non è una questione di ambiente, esotismo o passione botanica, ma si parla di benessere e salute umana e della società. Nel fare questo collegamento riscoprire anche il gusto di prendersi cura e di conoscere il proprio territorio cercando di comprendere quali sono i benefici dell’ambiente a livello locale, come si esprimono i collegamenti. Quali sono i benefici che la foresta ci dà in una certa area? In Sicilia, in Sardegna, sull’Aspromonte? Non è solo un bosco sulla cima della montagna dove andare a fare una passeggiata la domenica – anche se questo è un beneficio importante – ma un ecosistema che ci permette di accedere all’acqua potabile o alla prevenzione delle frane. Qualcosa che assorbe carbonio: in ogni luogo l’ambiente e l’ecosistema ci danno benefici molto concreti. Si parla di ‘capitale naturale’ e di potenziare questi servizi ed ecosistemi sostenendo economicamente percorsi virtuosi delle amministrazioni locali. Quindi ritrovare questo legame e quanto dipendiamo da una singola foresta o pezzo di mare ed ecosistema in modo da imparare a prendercene cura.”
Sabato, 21 agosto 2021 – n° 30/2021
In copertina: Giorgio Vacchiano – foto courtesy Giorgio Vacchiano