mercoledì, Dicembre 11, 2024

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In Kurdistan iracheno s’infiamma la protesta

Otto civili uccisi nell’ultima settimana

di Laura Sestini

Nella regione curda irachena, dal 22 novembre vanno avanti una serie di manifestazioni per contestare l’operato del governo guidato dal Primo Ministro Masrour Barzani. Ma, a rigor di verità – e sebbene a momenti il popolo si acquieti – l’ultimo anno è stato un periodo di contestazioni assai fecondo, in lungo e in largo per tutta la nazione irachena.

La miccia si accende a Baghdad il 25 ottobre 2019, con decine di migliaia di giovani scesi in piazza per contestare il governo centrale, chiedendo nuove riforme a un governo considerato incapace e corrotto – oltre che troppo sottomesso ai poteri politici del vicino Iran e, in contrapposizione, degli Stati Uniti.

Le proteste di allora hanno portato, sì, alla destituzione del Primo Ministro e alla sua sostituzione con l’attuale Mustafa al-Kadhimi, ma allo stesso tempo, in sei mesi, hanno mietuto oltre 700 vittime – soprattutto tra i manifestanti di piazza Tahrir, nella capitale – e 18 mila feriti, oltre a un numero imprecisato di arresti e a decine di persone scomparse – tra rapimenti e torture – di cui non si hanno più notizie. Le manifestazioni, poi allargatesi ad altre città irachene, sono andate avanti finché la pandemia e gli innumerevoli ‘coprifuoco da virus non hanno bloccato la routine quotidiana, e le primarie libertà, in tutto il mondo. Con buona pace per i governi contestati, almeno da questo punto di vista.

Nonostante le promesse fatte, niente è parso muoversi, però, verso una qualche reale soluzione; tantoché, a maggio scorso, nonostante la pandemia, in piazza Tahrir si sono riaccesi focolai di manifestanti.

A ora, nuove sono le proteste, vecchie e reiterate rimangono le cause. Queste ultime coinvolgono, insieme al governo del Kurdistan iracheno anche l’amministrazione centrale a Baghdad, a causa dei continui rimandi dei due enti amministrativi in merito ad accordi risolutivi – e non mantenendo le scadenze già discusse e approvate – per quanto riguarda gli stipendi dei lavoratori pubblici, per i quali il governo di Baghdad dovrebbe trasferire al KDG – il governo dellarea curda autonoma – circa il 40% degli importi.

Lannosa questione va avanti da diversi anni, tra litigi e rappresaglie, poiché il male minore, nonostante tutto, per ambedue i governi, sembrerebbe il non ottemperare agli obblighi verso i dipendenti statali – e, non a caso, sono gli insegnanti a guidare la testa delle manifestazioni.

Dietro le quinte, difatti, le divergenze vertono soprattutto sulla divisione dei proventi del petrolio e sui territori ricchi di oro nero, che i due organi amministrativi si contendono da tempo nellarea di Kirkuk, in special modo dopo il referendum per lindipendenza del KDR a settembre 2017 – finito in una guerriglia civile tra esercito iracheno, milizie filo-iraniane, civili curdi e turcomanni della regione in questione, oltre a gruppi armati, di cui l’Iraq ha unampia scelta.

Da allora, di indipendenza dallIraq, in Kurdistan, non si parla più: la messinscena referendaria fu latto finale del melodramma politico di Massoud Barzani – padre dellattuale Primo Ministro Masrour, al comando della Regione Autonoma dal 2005 e riconfermato nel 2009 – che si era appropriato, in maniera distorta, del sogno di ununica nazione curda, a discapito dei milioni di curdi che credono ancora nel Grande Kurdistan.

Barzani senior, rimasto al potere per otto anni, con continue autoproroghe ai suoi due mandati già scaduti (senza elezioni straordinarie per rimettere la scelta ai cittadini) e avvicinatosi sempre più allantidemocratica Turchia – nazione perennemente in guerra aperta con gli oltre 20 milioni di Curdi che vi risiedono e di cui riempie le carceri – scende finalmente dal palco degli oratori politici iracheni subito dopo il referendum per lindipendenza, che ebbe il 96% di consenso per la separazione dallIraq, ‘abdicando in favore del nipote Nercivan, attuale Presidente regionale.

Se nel 2020, oltre a tutti i problemi che già affliggono la Terra, si aggiunge il disagio della pandemia da Covid-19 per i cittadini dei Paesi più ricchi, non c’è da meravigliarsi che i lavoratori pubblici – insegnanti, ma anche militari e altri funzionari statali o regionali iracheni – che non ricevono lo stipendio da mesi, anzi irregolarmente da anni, o solo parti di esso (con mensilità dimenticate nei cassetti di chissà quali livelli gerarchici statali) abbiano abbastanza ragioni per scendere per le strade a far sentire la loro voce.

Questo è, infatti, ciò che sta accadendo attualmente nella Regione Autonoma curda. La protesta è iniziata pacificamente nella città di Sulaymaniyah, e si è propagata in altri centri più a sud, fino al confine – molto labile e immaginario – con l’Iraq.

Alle proteste dei lavoratori pubblici, si sono uniti moltissimi giovani, i quali denunciano ancora una volta la corruzione, propria degli apparati governativi, la mancanza di lavoro e l’alto tasso di disoccupazione, puntando il dito anche contro le gravi lacune dei servizi pubblici – inefficienti e, talvolta, inesistenti.

L’atmosfera pacifica delle proteste prende una piega inaspettata quando le forze dell’ordine – le Asayîş – iniziano ad arrestare i manifestanti e a sparare proiettili veri. Negli ultimi giorni, infatti, si è scatenata una vera guerriglia urbana – nei centri abitati compresi nel triangolo dei governorati di Sulaymaniyah-Kirkuk-Halabjah – che ha lasciato sull’asfalto un numero non ben precisato di persone, sebbene i quotidiani locali riferiscono che siano almeno otto.

Già un po’ di tempo fa avevamo riportato i gravi fatti accaduti a giornalisti, attivisti per i diritti umani e persone che contestavano l’operato del governo: https://www.theblackcoffee.eu/il-kurdistan-iracheno-fallira-a-causa-della-dittatura-che-stringe/.

E quindi, mentre le modalità di repressione del KRG non cambiano, anzi paiono inasprirsi ‘pubblicamente’, senza troppi indugi, tra gli arrestati compaiono ancora una volta, oltre ai semplici manifestanti, attivisti della società civile. Si registrano altresì arresti di giornalisti (confermati Zosk Balak e Karzan Tariq) ai quali si vuole ‘tappare la bocca’ sopprimendo – tout court – il diritto di cronaca. La morsa della censura si è stretta anche intorno ai media, con la chiusura da parte delle forze di sicurezza del canale televisivo di opposizione NRT TV, con base a Sulaymaniyah, e le restrizioni dell’accesso a Internet a carico della popolazione.

A chiudere il cerchio – quale deterrente a contenimento delle proteste – l’Alto Consiglio di Sicurezza Regionale, organo del Ministero dell’Interno, ha attivato il coprifuoco nei governorati di Sulaymaniyah e Halabja.

Contro a questi provvedimenti, dall’altra parte, i manifestanti non hanno fatto attendere le proprie reazioni, appiccando il fuoco a edifici appartenenti ai maggiori partiti politici – KDP, PUK e Gorran – e a diverse stazioni di polizia.

Tra i dettagli della guerriglia urbana che si è andata a creare, risalta il fatto che le forze di sicurezza non indossino divise formali, come siamo abituati a vedere, per esempio, in Europa. Al contrario, costoro si mescolerebbero ai cittadini, vestiti con comunissimi abiti civili, sortendo così l’effetto di confondersi tra gli stessi manifestanti – detenendo, però, potenti kalashnikov con i quali pare sparino un po’ a caso, come se fossero dei giocattoli.

Alcune vittime colpite da armi da fuoco durante le proteste in KDR

Le denunce contro le violenze perpetrate dalle forze dell’ordine sui cittadini sono prontamente arrivate da differenti organizzazioni per i diritti umani, quali Amnesty International e Human Rights Watch Iraq; UNAMI – la Missione di Assistenza per l’Iraq delle Nazioni Unite – oltreché dal governo centrale di Baghdad; denunce, queste ultime, che appaiono come pura demagogia, dato che lo stesso governo avrebbe permesso atti anche di maggiore violenza durante le recenti manifestazioni di piazza Tahrir.

Alle parole, molte – talvolta troppe e di pura formalità – sarebbe interessante far seguire dei percorsi tangibili di riforme adeguate, come da molto tempo chiedono sia i cittadini iracheni, sia i loro connazionali della Regione Autonoma curda (che, realmente, autonoma non dimostra di essere).

Anzi, al contrario di autonomia e di differenze positive – ‘dall’odiato-amato Iraq’ – nella regione del Kurdistan iracheno ritroviamo le stesse pecche morali e materiali della controparte. Questo attestano le proteste contro i due punti cardinali della nazione irachena – ovvero corruzione, violenza e inefficienza.

https://twitter.com/i/status/1337168196944715778

Sabato, 12 dicembre 2020

In copertina: Vista sulla città di Sulaymaniyah. Foto di ©Laura Sestini (tutti i diritti riservati).

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