martedì, Marzo 19, 2024

Notizie dal mondo

Quei vicini troppo “rumorosi”

Le eterne intolleranze e guerre tra Mondo islamico e Occidente

di Ettore Vittorini

Tra il mondo musulmano, esteso in gran parte in Asia e in Africa, e quello cristiano occidentale, esiste ormai da tempo una grande frattura. Questa situazione è normalmente attribuita alla diversità di religione, ma in realtà le ragioni sono molteplici: si trovano nella storia e nella geopolitica; nella diversità della società e dei costumi; nelle dottrine politiche e filosofiche; nella scarsa conoscenza reciproca delle rispettive comunità.

Per esempio, noi occidentali siamo soliti chiamare arabi il miliardo e mezzo di persone che professano la religione islamica. In realtà sono arabi gli abitanti provenienti dalla penisola arabica dove è nato l’Islam. Un turco, un iraniano, un pachistano, ecc., non si considerano arabi, ma musulmani. Dopo la morte di Maometto, avvenuta nel 632 d.C., l’Islam si è ramificato in gruppi politici e scuole religiose che spesso si sono combattute e si combattono ancora. I due principali rami sono quello sunnita e sciita dai quali derivano a loro volta ramificazioni minori. Ma per comodità di linguaggio il termine arabo è usato con maggior frequenza.

Aldilà delle discettazioni generali, la frattura tra i due mondi, nata da quando la religione cristiana incominciò a estendersi in Palestina e in tutto il Medio Oriente – prima bizantino e poi conquistato dai turchi – il conflitto tra le due comunità si è trasformato oggi in una guerra contro l’Occidente e il minimperialismo israeliano. Soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso si è ingigantita colpendo subdolamente la popolazione inerme. Una battaglia di rivendicazioni e di odio, che in un primo tempo aveva delle giustificazioni politiche e che gradualmente si è macchiata di assassinii e stragi commessi da gruppi di fanatici che hanno agito e agiscono in nome del loro dio.

Cito i dirottamenti aerei degli anni Settanta compiuti dall’Olp di Arafat, nei primi tempi incruenti e in seguito diventati micidiali: le bombe negli aerei, gli attacchi agli aeroporti (due a Fiumicino), quello alle Olimpiadi di Monaco, le bombe nelle strade di Israele e tanti altri ancora. La guerra dei ‘sei giorni’ del ‘66 e quella del Kippur del ‘73 avevano aggravato la situazione dei palestinesi. L’intento dell’Olp era colpire la popolazione civile occidentale per attirare l’attenzione sul problema dei territori occupati da Israele.

Il cammino verso un accordo ebbe inizio col trattato di pace tra l’Egitto e Israele del 1979, seguito anni dopo dalle trattative di Madrid del ‘91 e il trattato di Oslo del ‘93 in cui Arafat sanciva la rinuncia dell’Olp al terrorismo e il primo ministro laburista israeliano Rabin accettava un graduale autogoverno dei palestinesi nella West Bank e nella Striscia di Gaza.

Ma fu un equilibrio molto instabile: nel ‘95 Rabin fu assassinato durante un comizio da un giovane ‘fanatico’ ebreo. Non è mai stato chiarito se dietro di lui ci fossero dei mandanti.

In seguito la guerra si è inferocita per arrivare agli attentati alle Torri Gemelle, al Pentagono, a Madrid, Barcellona, Parigi, Nizza, Germania, Inghilterra, Belgio. Il penultimo, la decapitazione del professore francese Samuel Paty, ‘colpevole’ di aver mostrato agli allievi le note immagini di Maometto apparse sulla rivista satirica Charlie Hebdo durante una lezione sull’importanza della democrazia. Un delitto assurdo compiuto da un giovane ceceno sobillato da un autoproclamatosi sceicco; un esempio di come il fanatismo religioso possa superare i limiti dell’umanità.

Di giovani come quel ceceno se ne contano a migliaia, sparsi in tutto il mondo, addestrati al fanatismo e all’intolleranza verso gli ‘occidentali e i crociati’ nelle scuole coraniche – tra l’altro finanziate dall’Arabia Saudita – nei gruppi armati che agiscono sotto la bandiera di una religione islamica distorta. Sono degli eserciti che prendono il nome di Hamas, Al Quaeda, Isis, che hanno soppiantato gli ideali dell’Olp, un’organizzazione ormai quasi scomparsa dopo la morte di Arafat.

Una buona parte del mondo arabo dissente da quei gruppi sanguinari, ma non reagisce. La religione islamica, divisa in tante scuole e sette, non ha un’unica guida spirituale che possa intervenire. Le figure che svolgono il ruolo religioso sono tante ma non organizzate gerarchicamente: la fede è nelle mani degli imam, dei califfi, degli ulema, dei mufti, dei mullah tra i quali esistono spesso contrasti nella guida dei fedeli. È un mondo che non crede nel futuro; appiattito sul presente e senza più ideologie, fa ricorso soltanto alla religione.

Ne aveva fatto un quadro molto preciso il giornalista e scrittore libanese Samir Kassir che, nel suo  saggio edito nel 2005, L’infelicità araba, scrisse: “Eredi di una grande civiltà che guardava al futuro, gli Arabi possono riappropriarsi del proprio destino. A patto di liberarsi della cultura del vittimismo e di fare i conti con quella modernità che molti continuano a vivere come una minaccia”. Kassir, di madre siriana e di padre palestinese, auspicava il ritorno alla Nahda (Rinascita – t.d.g.), iniziata col crollo dell’Impero Ottomano, dopo la Prima guerra mondiale, con le rivoluzionarie riforme laiche di Atatürk, alle quali seguirono nel secondo dopoguerra le svolte di Nasser in Egitto, di Bourghiba in Tunisia e la lotta per l’indipendenza in Algeria. Non furono periodi idilliaci ma rappresentarono una fase importante dello sviluppo di quelle nazioni, un primo passo della Nahda che non ebbe seguito. Kassir fu assassinato subito dopo l’uscita del suo libro. Fu eliminato come tanti altri intellettuali e politici arabi che pensavano a un futuro migliore per la loro terra.

Adesso la Turchia di Erdoğan ha cancellato il laicismo e la traballante democrazia; l’Egitto è diventato una feroce dittatura; l’Algeria indipendente e ricca, dopo la Rivolta del pane, resta sempre nelle mani dei militari; la Rivolta dei gelsomini ha cambiato poco la Tunisia.  

La grande civiltà arabo-islamica di cui scriveva Kassir è realmente esistita e si sviluppò dall’ottavo secolo dopo Cristo fino al quindicesimo. Fu un periodo di fulgore non solo religioso, ma culturale, politico ed economico. Mentre l’Europa era pervasa da guerre, conquiste, oscurantismo, immobilismo sociale, nel mondo arabo nascevano le basi dello sviluppo futuro grazie all’operosità di grandi scienziati: matematici, geografi, botanici, medici, farmacologi, ingegneri idraulici. Nacque in Medio Oriente la prima enciclopedia alfabetica della medicina, con l’elenco delle malattie e dei metodi curativi.  Fu il frutto di quella civiltà anche il libro delle tavole astronomiche che Cristoforo Colombo e gli altri navigatori europei utilizzarono nei loro viaggi transoceanici.

Il ‘fulgore arabo’ era oggetto di ammirazione e di paure nel mondo medievale e feudale europeo. I mercanti occidentali che si recavano nei porti orientali portavano in patria mercanzie di ogni genere, dalle spezie alle stoffe raffinate, dai frutti prelibati alle medicine ‘miracolose’. Raccontavano anche dello ‘splendore e della ricchezza’ dei luoghi da loro visitati. Le paure invece derivavano dallo “nero periglio che viene dal mare”. Cioè dalle scorrerie dei pirati musulmani e dalle loro conquiste che erano arrivate fino alla Spagna e alla Sicilia. Le loro battaglie, gli assedi portarono sangue e distruzione tra le popolazioni, ma i vincitori gestirono i territori occupati con la tolleranza verso le altre religioni, con le opere pubbliche, acquedotti, bonifiche dei terreni, introducendo le tecnologie più avanzate per quei tempi.

La storia e la tradizione occidentali li accusano di enormi crudeltà verso i vinti. Ma la ferocia fu  esercitata da ambo le parti. Per esempio, conquistata Gerusalemme nel 1099, i Crociati compirono un grande massacro tra musulmani ed ebrei. La guerra di religione voluta dai Papi era solo il pretesto per conquistare le ricchezze del Mondo arabo. L’occupazione della Palestina durò poco perché i crociati – tra di loro divisi – vollero attuare il sistema feudale e oscurantista europeo. Non furono eroi ma conquistatori oltretutto incapaci.

Il mondo arabo fu unificato dalla nascita dell’Impero Ottomano. La data potrebbe essere la presa di Costantinopoli (1453), cui seguì la scomparsa di quanto era rimasto dell’Impero Bizantino. Da quella città, ribattezzata Istanbul, gli Arabi proseguirono nelle loro conquiste nei Balcani arrivando alle porte di Vienna assediata invano nel 1529. Ci riprovarono nel 1683, ma furono nuovamente sconfitti. Tra i due assedi avevano subìto nel 1571 la disfatta nella battaglia navale di Lepanto ad opera della flotta della Lega Santa costituita dalle navi spagnole, veneziane, genovesi sabaude e maltesi. Secondo gli storici europei di allora, quella battaglia segnò la vittoria dell’Europa rinascimentale e l‘inizio del declino ottomano. Ma i generali musulmani, al contrario, paragonavano la loro potenza militare alla barba che “una volta tagliata ricresce il giorno dopo”.

In realtà, il declino dell’Impero è piuttosto legato a ragioni economiche e sociali. Lo storico Alessandro Barbero nel suo efficace libro sulla società ottomana, Il divano di Istanbul, fa l’esempio del ‘paradosso dell’orologio’. Spiega che gli uomini del potere e i notabili adoravano moltissimo gli orologi, prodotti solo in Europa. Li compravano quindi dai mercanti veneziani e genovesi. Ma quando gli orologi si guastavano, nell’Impero non esistevano gli orologiai, gli unici in grado di ripararli. Allora si premurarono ad accogliere numerosi orologiai europei, soprattutto veneziani, allettandoli con grandi ricompense. Questi arrivarono e aprirono a Istanbul le loro botteghe, arricchendosi notevolmente. Ma quando gli artigiani invecchiarono e i loro eredi se ne tornarono in patria, le botteghe degli orologiai chiusero. I giovani musulmani non erano stati avviati a quella attività. E neanche a tutte le scienze e la tecnologia che si diffondevano in Occidente, malgrado le opposizioni della Chiesa cristiana. Per esempio, i cannoni delle navi turche di Lepanto erano tutti di produzione veneziana; la stampa inventata in Europa nel 1450, fu vietata in tutto l’Impero fino ai primi del 1800, perché la religione islamica non lo permetteva. Sappiamo benissimo come la divulgazione del pensiero e della cultura si diffuse in Europa grazie alla stampa.

Infine l’Impero Ottomano subì una grave crisi economico-finanziaria che non riuscì mai a frenare. Non aveva economisti e banche. Tutto il settore era affidato agli stranieri sparsi nella nazione araba. Il declino era inevitabile e portò alla dissoluzione totale dell’Impero con la sconfitta nella Prima guerra mondiale. Il trattato di Sèvres del 1920 ne provocò lo smembramento totale. Il colpo di grazia fu dato da Francia e Gran Bretagna che si spartirono i territori mediorientali segnandone i confini sulle carte geografiche con una matita. E, per assurdo, da quella matita è derivata la tragica immagine del Medio Oriente di oggi.   

Sabato, 12 dicembre 2020

In copertina: un dipinto della battaglia di Lepanto del 1571.

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