venerdì, Aprile 19, 2024

Notizie dal mondo

Il cinismo della Turchia

Nonostante la catastrofe umanitaria non si fermano i bombardamenti nell’area curdo-siriana

di Laura Sestini

Continuano a salire vertiginosamente i numeri delle vittime del terremoto, giunti oltre 24 mila; cinque milioni di sfollati, secondo Unhcr.

Nell’area siriana di Nord-est colpita dal forte sisma, gli aiuti ufficiali non arrivano, mancano cibo e acqua, beni di prima necessità, materassi e coperte per proteggere la popolazione dalle temperature sottozero. Le autorità locali e Heyva Sor a Kurdistanê – Mezzaluna rossa curda – in tempi da primato hanno issato 35 grandi strutture di riparo, in piazze e spazi pubblici di 15 diverse città, che ospitano 5 mila civili. Da Qamishlo a Kobane, da Aleppo a Mambij, da Derik a Raqqa. Ad Aleppo sono stai inviati anche un primo carico di aiuti umanitari.

L’area colpita dal sisma

Il Presidente Bashar al-Assad reclama la gestione degli aiuti da far passare per Damasco ma la fascia Nord della Siria colpita dal terremoto – dal confine iracheno al Mar Egeo – è controllata da troppi differenti attori da mettere d’accordo, tra cui Turchia, Stati Uniti, Iran e Russia, nonché numerosi gruppi di miliziani islamisti. La zona più a Est è curda, la Regione Autonoma, dove i danni più contenuti.

Alcuni aerei umanitari sono atterrati ad Aleppo, città devastata ancor più dal sisma che dalla recente guerra; la città – la seconda più grande dopo la capitale Damasco – ha subito lunghi anni di conflitto tra l’esercito siriano e i ribelli, tornata definitivamente in mano al regime di Al-Assad solo nel 2020. In molte zone della città mancano la corrente elettrica e rifugi di emergenza. La popolazione è sotto shock. Circa 100 mila persone sono fuori dalle loro abitazioni.

Riuscire a raggiungere le aree da occidente verso oriente della Siria settentrionale non è impresa facile, le strade sono impraticabili per le macerie, e per gli stessi danni che hanno subito: una sola grande arteria stradale attraversa il nord della Siria, la M4, che corre dal Mar Mediterraneo alla provincia di Mêrdîn/Mardin sul confine turco. A ovest di Aleppo ci sono le milizie islamiste, altro ostacolo al passaggio degli aiuti. Molte aree Nord-siriane risultano irraggiungibili.

Fermo immagine da video

I confini turchi sono chiusi da anni, rimasti aperti ufficiosamente solo per i movimenti delle milizie islamiste, su cui si appoggia la politica di Erdoğan in Siria, e le armi. Dal 2018, una zona di sicurezza a Sud del confine turco, profonda 30 chilometri e lunga 400, si è aggiunta ad rinforzare la frontiera. Solo a quattro giorni dal sisma, a causa degli interessi politici sulla regione, finalmente la Turchia ha dato il consenso a un convoglio di aiuti delle Nazioni Unite, per dirigersi verso la Siria dal varco di Bab al-Hawa, non lontano dalla città di Idlib, bastione ancora controllato dalle milizie jihadiste di Hayat Tahrir al Sham. Finora sono riusciti a passare solo i corpi senza vita dei siriani sfollati in Turchia, vittime del terremoto.

La tragedia umanitaria dovuta al terremoto nell’area di confine turco-siriana non ha impedito all’esercito turco di continuare a bombardare le aree controllate dai Curdi nel nord della Siria.

La notte seguente alle scosse sismiche che hanno raso al suolo interi quartieri, e anche tutta la giornata del 7 febbraio, la Turchia ha bombardato l’area intorno a Tal Rifaat, una località che accoglie migliaia di profughi curdi fuggiti a causa dell’invasione turca della città curdo-siriana di Afrin, con l’operazione “Ramoscello di olivo” del 2018, poi passata sotto il controllo dei miliziani islamisti di Hayat Tahrir al Sham nel 2022.

Kamal Sido – scrittore curdo-siriano e attivista per il diritti umani ha lanciato un appello ai paesi Nato. “I rifugiati curdi della regione di Afrin hanno trovato rifugio in questa zona a nord della città di Aleppo. È scandaloso che uno stato della NATO aggravi intenzionalmente una catastrofe umanitaria. E non ci sia una sola parola di critica da parte di altri paesi della NATO”.

La guerra civile siriana ha ridotto molte zone del Nord del Paese in condizioni disastrose, con centinaia di migliaia di civili che a malapena hanno beni di prima necessità, persone sfollate continuamente da un luogo ad un altro secondo il nemico di turno – il Califfato islamico, la Turchia, altre milizie post-Isis. Le sanzioni occidentali hanno completato l’opera.

L’intero sistema sanitario era già precario, anch’esso a causa della guerra civile ancora in corso, e degli attacchi siriani, russi e turchi. Gli ospedali ancora operativi sono sotto stress, mancano medicinali, attrezzature, ed è difficile la gestione dei cadaveri e delle migliaia di feriti.

In Turchia, in molte aree, i rappresentanti delle istituzioni locali hanno lasciato le città, e i cittadini senza supporto. Una delegazione dell’HDP – Partito Democratico dei Popoli – che ha raggiunto Samandağ nella provincia di Hatay ha dichiarato che a due giorni dal sisma i soccorsi dello Stato non erano ancora arrivati, i cittadini stanno lavorando da soli per estrarre quante più persone possibile dalle macerie. Ci sono innumerevoli segnalazioni di gruppi organizzati di soccorritori a cui viene impedito dall’esercito l’accesso alle aree colpite, come nel distretto di Patnos della provincia di Ağrı dove i volontari giunti sul posto sono stati bloccati e allontanati, riuscendo solo a consegnare il materiale raccolto per supportare le vittime. Si moltiplicano inoltre le segnalazioni di giornalisti che stanno provando a raggiungere le aree colpite ma vengono bloccati e respinti, alcuni all’arrivo nel Paese, altri al momento in cui si avvicinano alle zone interessate. Anche i giornalisti turchi ricevono lo stesso trattamento. Si è atteso cinque giorni dal sisma, perché gli Stati Uniti ritirassero alcune sanzioni alla Siria, per permettere gli aiuti, mentre le frontiere turche continuano a rimanere chiuse.

Altre voci dalle comunità locali riportano che i soccorritori lavorano con pochi mezzi, che molte località non sono state ancora raggiunte e soprattutto che i convogli di aiuti umanitari vengono bloccati ed i beni sequestrati dall’Agenzia governativa turca AFAD che ne vuole fare un uso politico-discrezionale, mentre le persone aspettano al gelo coperte e generi alimentari.

Secondo una stima basata sul numero degli abitanti delle aree colpite in Turchia e Siria, sotto le macerie ci sarebbero 184 mila persone, la cui speranza di trovarle in vita diminuisce ogni minuto che passa, a causa delle temperature rigide, il trascorrere dei giorni, la lentezza delle operazioni, la mancanza di mezzi. Cinquemila i bambini che rimarranno orfani. Miracoloso il salvataggio di un neonato di due mesi, dopo 128 ore sotto le macerie.

In un primo momento il Presidente Erdoğan aveva bloccato la rete Internet, per evitare l’eccesso di critiche all’organizzazione dei soccorsi. Le elezioni presidenziali sono molto vicine, ci sono timori di perdere consensi. Poi è stata riattivata.

Gli effetti di questo devastante terremoto sono aggravati dalla corruzione pervasiva che è stata istituzionalizzata durante i due decenni di governo di Recep Tayyip Erdoğan e del suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP).  Le nomine ai ministeri, tra cui il Ministero dell’Ambiente e dell’Urbanizzazione, e di altri enti governativi sono determinate dal nepotismo e dalla fedeltà a Erdoğan e all’AKP piuttosto che dal merito, e i progetti di costruzione, a lungo propagandati dallo Stato turco come simbolo del suo successo, sono assegnati a società con stretti rapporti con l’AKP.

È noto che la Turchia e il Kurdistan si trovano in una posizione precaria, vicino a importanti linee di faglie geologiche, che mettono la regione a rischio di forti terremoti. 

Un terremoto altrettanto disastroso, di magnitudo simile, aveva colpito il Kurdistan meridionale e orientale – Iraq e Iran – nel novembre 2017 e in aree della Turchia nell’agosto 1999. Tuttavia, da allora non sono state adottate misure sufficienti per affrontare questo rischio ben conosciuto, nonostante la presenza di tante aree urbane a crescente densità di popolazione e di due delle principali dighe della Turchia, situate a Riha/Şanlıurfa e Elazîz/Elazığ.

Secondo il sismologo Alessandro Amato, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), su alcune parti della faglia è stato calcolato uno spostamento del suolo fino a 10 metri, scivolato verso il Mar Egeo.

Ampie aree del Kurdistan turco e della Turchia Sud-est sono state devastate, con molti edifici crollati anche ad Amed/Diyarbakir, a 300 km dall’epicentro; il terremoto ha colpito anche le aree prevalentemente arabe di Hatay, regione sul Mar Egeo.

Il Rojava, la regione a maggioranza curda in Siria settentrionale e orientale, è una area già colpita duramente dalle continue campagne di aggressione e occupazione dello Stato turco, ha subito perdite umane e di strutture, ma non ingenti come altrove. Questo terribile terremoto nel cuore dell’inverno aggrava la crisi umanitaria che già colpisce i popoli della regione, tra cui curdi, arabi, cristiani e altri.

Per esperienza acquisita sappiamo che il regime di Erdoğan affronterà questa catastrofe naturale in modo cinico e con forti pregiudizi anti-curdi.

La Mezzaluna Rossa curda – Heyva Sor a Kurdistanê – che opera sul campo in Kurdistan siriano come organizzazione sanitaria, sta facendo tutto il possibile per soccorrere le persone colpite da questa tragedia ed evitare che cadano vittime dei calcoli politici del regime di Erdoğan.

L’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est ha dichiarato la disponibilità di ricevere nei propri presidi ospedalieri qualsiasi persona che ne abbia necessità proveniente da qualsiasi regione della Siria. L’Amministrazione Autonoma e le Forze della Siria Democratica hanno lanciato un appello alla comunità internazionale per aprire le porte di confine e lasciar entrare aiuti umanitari in ogni area della Siria; inoltre le SDF hanno preparato squadre di soccorritori e aiuti umanitari da inviare nelle aree colpite sotto controllo di Damasco o occupate dallo stato turco, ma ai convogli è stato impedito l’accesso nelle zone colpite.

Un altro gruppo che presta soccorso, nelle aree a controllo siriano, sono i White Helmets, organizzazione istituita dai giovani civili durante la guerra, che fungono da protezione civile.

Intanto, altre questioni da risolvere si aggiungono a quelle dei soccorsi.

Nella famigerata prigione di massima sicurezza di Amed/Diyarbakir, in Kurdistan settentrionale, e nella prigione di Hatay sono scoppiate delle rivolte: i detenuti chiedono di avere notizie delle proprie famiglie colpite dal terremoto. Dopo larepressione delle guardie carcerarie il bilancio è di tre detenuti uccisi e numerosi feriti, come se quelli del terremoto non fossero abbastanza.

La prigione di Hatay
Video anonimo

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Per le vostre donazioni:

Italia – Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia ETS (Heyva Sor a Kurdistanê) Via Forte dei Cavalleggeri,53 Livorno Banca Etica IBAN: IT53 R050 1802 8000 0001 6990 236 BIC/ SWIFT: ETICIT22XXX www.mezzalunarossakurdistan.org

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Sabato, 11 febbraio 2023 – n°6/2023

In copertina: foto da Kongra Star Women’s Movement

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