giovedì, Aprile 18, 2024

Arte, Cultura

Artemisia Lomi Gentileschi

Precursora di lotte femminili

di Laura Sestini

Recentemente la Fondazione Pisa ha acquistato per la collezione permanente di Palazzo Blu un grande dipinto firmato dalla pittrice di origine pisana, Artemisia Lomi Gentileschi.

Figlia d’arte – il padre e gli zii erano pittori conosciuti – Artemisia nasce a Roma nel 1593, tra le correnti del Manierismo e il Barocco caravaggesco. Giovanissima firma Susanna e i vecchioni.

Artemisia e il padre erano i soli della famiglia a spaziare nel panorama artistico europeo e per la città di Pisa rimangono tra i maggiori rappresentanti della pittura.

La Fondazione Pisa non è nuova all’acquisto di opere della Famiglia Gentileschi, nel tempo ha arricchito la collezione permanente del museo con la Musa Clio di Artemisia – acquistato da Christie’s di Londra nel 2004 – il ritratto dell’artista di Simon Vuet nel 2019, a cui adesso si aggiunge anche il Cristo e la Samaritana al pozzo.

Il dipinto – secondo lettere manoscritte dall’artista stessa indirizzate al mecenate cavalier Cassiano dal Pozzo suo fidato e illustre protettore alla corte di Roma – era destinato ai cardinali Francesco e Antonio Barberini con l’auspicio di riceverne in cambio un’offerta in denaro per il matrimonio della figlia Prudenzia.

Nella realtà dei fatti, i due rappresentanti della Chiesa non lo acquisirono mai il grande dipinto (due metri per tre) che rimase fermo nella bottega napoletana della pittrice, dove era stato realizzato nel 1636-37.

Artemisia Gentileschi – Cristo e la Samaritana al pozzo (1636 – 1637)
Immagine courtesy Fondazione Pisa

L’opera – fatto non proprio comune – è stata censita fin dal 1680 nell’inventario di un uomo d’affari genovese, Giovanni Stefano Oneto (1616-1680), primo Duca di Sperlinga, che lo aveva acquistato per ornare la propria tenuta di Palermo.

Prima di allora dipinto era già passato nelle collezioni napoletane e siciliane dei nobili Ruffo.

Rintracciato da Luciano Arcangeli nel 2004, per le minuziose ricerche negli archivi siciliani di Angheli Zappalì, il grande dipinto risulta in buone condizioni, ma con segni del tempo per la scarsa cura dei proprietari. Infine è stato acquistato e restaurato per iniziativa della Fondazione Pisa.

Cinzia Pasquali – coordinatrice del restauro – ci riporta alcuni dettagli del dipinto: “le analisi scientifiche non invasive contribuiscono oggigiorno a una migliore conoscenza delle opere, della loro storia e del loro stato di conservazione. Le luci – dirette, radenti, ultraviolette – che esplorano la superficie dell’opera, come le lunghezze d’onda localizzate nell’infrarosso, forniscono immagini ciascuna con una propria specificità e per­mettono di comprendere meglio il processo creativo dell’artista attraverso un’analisi approfondita della sua tecnica. La Fondazione Pisa ha voluto studiare con cura, attraverso la diagnostica non invasiva, quest’opera straordinaria prima del suo complesso restauro. Ciò ha permesso ai tre bravissimi restauratori Elisa Todisco, Elena Burchianti, Enrico Rossi – che hanno condotto l’intervento, di elaborare un protocollo di restauro fondato sulla piena conoscenza della materialità del dipinto. Il dipinto è stato eseguito su una tela preparata con colla naturale sulla quale è stato usato un appretto certamente colorato. Infatti, la Gentileschi, come altri artisti del suo tempo, usava spesso fondi bruni prima di dipingere, come è evidente nell’Allegoria della Pittura eseguita dalla donna a Londra e ora nella Royal Collection. Questa tecnica era ad esempio condivisa da Simon Vouet, come nel Ritratto di Artemisia di Palazzo Blu. È possibile ipotizzare che l’artista abbia utilizzato un disegno preparatorio in gesso, materiale ben visibile sul fondo scuro ma purtroppo non rilevabile con le tecniche diagnostiche a nostra disposizione“.

Artemisia Gentileschi, oltre ad essere famosa anche in vita come notevole pittrice, non ebbe un’esistenza facile, e i tempi non erano tali per donne “controcorrente” quale lei si è dimostrata.

Un episodio di violenza sessuale l’aveva segnata giovanissima – intorno ai 17 anni – per mano di un collega pittore del padre, Agostino Tassi, che aveva abusato della giovane. Secondo alcuni critici d’arte Susanna e i vecchioni sarebbe un’autorappresentazione di quella violazione subìta.

Denunciata la violenza, si istituì il processo contro Tassi, dove Artemisia viene torturata per la testimonianza, perché dicesse la verità – evidentemente le donne sono sempre state poco credute dai giudici e si sperava nella ritrattazione – e in seguito additata come una poco di buono.

Per mettere a tacere le malelingue il padre la dà in sposa al pittore fiorentino Pierantonio Stiattesi da cui avrà quattro figli, ma di questi rimarrà in vita solo Prudenzia.

Artemisia Gentileschi nel 1616 – a 23 anni – è la prima donna ad essere iscritta all’Accademia del Disegno di Firenze, stipendiata da Cosimo II de’ Medici e con numerosi committenti privati.

Si sposta tra Firenze, Roma, Venezia, Londra e Napoli.

Il matrimonio dura solo una decina di anni, Artemisia è innamorata di un nobiluomo fiorentino. Viaggia fino a Londra, dove il padre risiede da tempo, viene presentata alla corte degli Stuart di Carlo I.

Alla morte del padre torna a Napoli dove è apprezzata dall’aristocrazia locale che le procura molte committenze. La sua bottega è un andirivieni di assistenti, quasi un’accademia.

Artemisia è amica di Galileo Galilei.

Artemisia Lomi Gentileschi non era una donna comune, senza dubbio una forte personalità che non si è mai fatta sconfiggere dalle rudi “convenzioni sociali” del suo tempo, che malvolentieri accettava.

Muore a Napoli nel 1656.

Sabato, 26 novembre 2022 – n° 48/2022

In copertina: dettaglio della Samaritana – (Napoli 1636-1637) – Foto courtesy Fondazione Pisa

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