L’alfabeto del dialogo tra comunità
di Laura Sestini
Il duo Instabili Vaganti, compagnia teatrale bolognese composta da Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, hanno appena concluso il loro ennesimo tour internazionale attraverso alcuni paesi di lingua latina, tra Europa e America del Sud, alla ricerca di radici emiliano-romagnole di Italiani che in quelle aree avevano trovato un nuovo ambiente dove stanziarsi per migliorare la loro condizione sociale, giunti attraverso le numerose ondate di migrazioni che dall’Europa si sono succedute dalle ultime decadi del 1800 fino al secondo dopoguerra.
Stracci della Memoria, tra i primi loro lavori drammaturgici che nel corso degli anni ha generato interessanti nuove narrazioni e rappresentazioni teatrali, è uno spettacolo che talvolta riappare nei viaggi intorno al mondo di Instabili vaganti, perché agevolmente pervade un linguaggio subliminale comune, anche laddove le culture sembrino apparire molto diverse. Alla Compagnia, lei drammaturga e regista, lui performer, ma spesso i ruoli si rimescolano, abbiamo chiesto cosa abbiano tratto da tenere in memoria per il futuro e per il loro mestiere di artisti dalle diaspore emiliano-romagnole che hanno incontrato e coinvolto in appositi laboratori performativi inseriti nel loro tour.
L’ultimo tour internazionale della Compagnia ha visitato alcuni paesi latinos, e non era la prima volta. Quali nuovi contesti sono stati scelti e dettati da quali indirizzi?
Instabili Vaganti – In America Latina ci sentiamo ormai a casa: da diversi anni portiamo i nostri tour in vari paesi del Sud America e, nel tempo, sono nate anche vere e proprie coproduzioni. Collaboriamo infatti con gruppi di artisti locali che lavorano stabilmente con noi e che attendono il nostro ritorno per proseguire insieme il percorso di creazione e circuitazione delle opere condivise.
La novità di quest’anno è stata il Brasile, paese in cui abbiamo portato per la prima volta il nostro lavoro. Nel corso di tutto il tour, che ha toccato Spagna, Argentina e Brasile, ci siamo concentrati sulle comunità di italiani all’estero – in particolare quelle di origine emiliano-romagnola – lavorando direttamente con le associazioni presenti nei territori, che svolgono un ruolo fondamentale nel mantenere vivo il legame tra la cultura italiana e quella locale, coinvolgendo anche molti giovani che gravitano attorno a queste realtà.
Nel tour è stato riproposto un vostro particolare lavoro nato alcuni anni fa, “Stracci della Memoria”, un evergreen che si adatta facilmente a tutti i contesti storici e sociali, andando ad indagare, appunto, la memoria personale e collettiva
I.V. –Stracci della Memoria è il nostro progetto di ricerca internazionale più longevo: ha quasi vent’anni di storia e ha accompagnato, passo dopo passo, anche il percorso della Compagnia. È alla base di una pubblicazione edita da CuePress e continua ad evolversi grazie agli incontri e alle contaminazioni che avvengono nei diversi contesti in cui viene presentato.
In questo tour ci siamo concentrati su un aspetto particolare: la memoria delle comunità all’estero, in particolare di quelle italiane. Abbiamo cercato di comprendere come la memoria – e con essa anche le tradizioni performative – venga conservata, trasformata o contaminata nel tempo quando si vive per generazioni in un altro paese. Abbiamo approfondito questi temi attraverso workshop pratici che hanno coinvolto partecipanti che appartengono a diverse generazioni di emiliano-romagnoli che quindi sono discendenti diretti degli emigrati, fino ai più giovani, nati e cresciuti nei paesi ospitanti ma ancora legati, attraverso legami di sangue, alla propria italianità.
Il tour è stato anche l’occasione per presentare il libro Stracci della Memoria, che racconta i primi dodici anni del progetto, e lo spettacolo Lockdown Memory, una produzione che racconta un’ultima fase del progetto, fatta di memorie frammentate raccolte in tutto il mondo collegandoci a distanza con artisti di diversi Paesi, durante il periodo del lockdown. Un’esperienza che ha aperto poi la strada al nostro nuovo progetto di ricerca: Beyond Borders. Lo spettacolo ha fatto da ponte tra i due progetti, aprendoci un nuovo percorso d’indagine.

Quali “memorie” avete incontrato durante il tour? Spagna, Argentina e Brasile hanno molto da raccontare, di contesti politici affini tra loro, per esempio le dittature militari, ma anche esperienze sociali completamente differenti
I.V. – In questi Paesi siamo andati alla ricerca di una memoria “antropologica”, delle origini: abbiamo scavato attraverso livelli di memoria stratificati legati a fenomeni storici come le grandi migrazioni legati alle grandi guerre, la colonizzazione, la deportazione degli schiavi, fino ad arrivare a quelli connessi alle esperienze politiche più recenti, come le dittature militari. Abbiamo riscoperto una memoria collettiva e un senso di identità che a volte è difficile trovare in paesi così estesi come l’Argentina o come il Brasile. Abbiamo notato una forte rivalutazione ed elaborazione artistica di tutto ciò che è legato alla cultura indigena e afrobrasiliana: interi quartieri di Rio sono stati valorizzati in questo senso, anche grazie a centri culturali che si fanno promotori di un’arte alternativa. Allo stesso tempo abbiamo trovato, in tutte le comunità che abbiamo incontrato e che si formano in questa vastità territoriale, un forte senso di appartenenza ad una cultura che nel nostro caso specifico era quella italiana. Nel lavorare con le associazioni di italiani all’estero, come per esempio con il circolo di Emiliano-Romagnoli a San Paolo, abbiamo ritrovato una memoria collettiva frutto di tutti questi livelli stratificati.
Il tour era focalizzato su un target specifico di spettatori? Chi vi è venuto incontro, invece? Ci sono state sorprese? Le performance di Instabili Vaganti, per come sono “costruite” sembrerebbero più adatte ad un pubblico giovane, che comprende più facilmente il linguaggio multimediale. È così?
I.V. – Questo tour era indirizzato nello specifico alle comunità di italiani all’estero, in particolare le associazioni di emiliano-romagnoli nel mondo, poiché fa parte di un progetto sostenuto dalla Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel mondo della Regione Emilia-Romagna. La prima sorpresa è stata però constatare che intorno a queste associazioni gravita una varietà di utenti di diverse generazioni e background culturale. Per cui per esempio in Spagna, in occasione della presentazione del libro, abbiamo avuto una buonissima partecipazione non solo delle comunità italiane ma anche di quelle locali e sudamericane. E molte sono state le curiosità, perché il progetto Stracci della Memoria, rappresenta un portale che connette differenti culture attraverso la ricerca sui diversi livelli di memoria: individuale, storica e antropologica.
In Argentina, a Mar del Plata, dove abbiamo diretto un workshop intensivo sul progetto, si è formato invece un gruppo di attori e attrici del territorio che segue le nostre attività con continuità. Quello a Mar del Plata è stato infatti un ritorno, dato che avevamo cominciato un percorso di formazione già lo scorso anno, e vi sarà una ulteriore tappa di lavoro molto presto, a dicembre, quando costruiremo uno spettacolo teatrale con la comunità di artisti che si è venuta a creare in questi anni collaborando con l’Associazione Terra Mar del Plata, grazie ai progetti sostenuti dalla Consulta degli Emiliano Romagnoli. La seconda sorpresa l’abbiamo avuta proprio qui, a Mar del Palata, quando al termine del workshop che abbiamo tenuto, siamo stati invitati dall’Istituto Loris Malaguzzi a fare un incontro con gli studenti delle classi medie e superiori. Abbiamo constatato che la maggior parte di loro hanno una discendenza e una connessione molto forte con la cultura italiana. Alla domanda “chi di voi ha origini italiane?”, oltre la metà dei circa 300 ragazzi presenti ha alzato la mano, dandoci la possibilità di condividere un bel momento di confronto con una nuovissima generazione di discendenti del nostro Paese.
Anche la tappa in Brasile ci ha riservato diverse sorprese: anche se il nostro spettacolo Lockdown Memory utilizza un linguaggio multimediale e quindi poteva interessare solo un pubblico giovane, in realtà ha coinvolto utenze differenti e diversificate, anche dal punto di vista generazionale e linguistico, proprio perché portatore di un linguaggio che si fa veicolo di memorie. La sorpresa più grande è stata però ritrovare in platea Juliana Spinola, attrice brasiliana di San Paolo che ha fatto parte prima del nostro progetto Stracci della memoria e poi di Beyond Borders e che quindi è presente nel video dello spettacolo Lockdown Memory proprio perché si collegava con noi ogni giorno, durante la fase di ricerca di questo progetto che raccoglie testimonianze da tutto il mondo. Sorpresa reciproca perchè anche per lei è stato bello vedersi in video nello spettacolo: è salita con noi sul palco e ci ha abbracciato dandoci la possibilità di ritrovare un frammento, uno “straccio di memoria”, del nostro passato.
È stato un tour pieno di soddisfazioni con un pubblico vario, eterogeneo, partecipe, che ci ha permesso di realizzare un ulteriore step di indagine sul nostro progetto.

Attraverso i vostri numerosi tour internazionali, a tutte le latitudini, avete riscontrato un elemento caratteristico delle “memorie” comune a tutti i popoli incontrati?
I.V. – Quello che ci contraddistingue proprio come esseri umani è la capacità di ricordare, accumulare ricordi, “memorie” nel corpo, attraverso l’esperienza vissuta. E come artisti ancora di più abbiamo il compito di affinare questa capacità e di allenare il nostro corpo a ricordare, a trattenere memorie, a elaborarle, a esprimerle, a condividerle con altri esseri umani. È questo che ci siamo proposti di fare con Stracci della Memoria: creare una memoria globale condivisa raccogliendo ed elaborando elementi “essenziali” durante il lavoro pratico, come il ritmo, il suono, ricercando l’essenza del movimento, del gesto, della parola, dell’atto e soprattutto dell’azione rituale. Grazie a questo, il progetto è riuscito a creare un alfabeto comune che ci ha permesso di dialogare con artisti da tutto il mondo, anche dove la lingua era uno ostacolo, anche dove a volte le condizioni dettate dalla società, le imposizioni erano un limite. Nei Paesi in cui non ci si poteva toccare, per esempio, o quelli in cui non è comune guardarsi negli occhi. Il progetto è riuscito a trascendere tutti questi impedimenti per creare una ritualità condivisa, qualcosa che stiamo cercando di conservare in questa epoca dove la memoria è minacciata da una frammentazione totale, dall’uso esagerato di device, dalla sovrastimolazione a cui siamo sottoposti ogni giorno.
Oggi, la deriva politica di destra, in buona parte del mondo occidentale tenta di cancellare la memoria storica a proprio vantaggio. Quale ricetta potremmo adottare per contrastare una narrazione distorta e perturbante che viene subita, spesso senza consapevolezza, dai cittadini?
I.V. – Assistiamo a una pericolosa concentrazione del potere comunicativo e culturale nelle mani di pochi: un’oligarchia che non si limita solo al controllo economico, ma che agisce anche sul piano sociale, e culturale minacciando l’autonomia del pensiero e l’identità collettiva. Lo abbiamo visto in diversi Paesi, che siano di destra o di sinistra. In generale c’è una tendenza alla manipolazione delle informazioni con l’obiettivo di creare una realtà storica falsa e distorta. La nostra identità storica viene minacciata continuamente da tutto questo. L’unica strategia che abbiamo come artisti è quella di creare delle comunità di teste pensanti, che siano artisti o studenti o semplici cittadini, attorno a dei progetti di ricerca e condivisione che siano in grado di mantenere vivi degli ideali e li trasmettano alle nuove generazioni.
Stimolare, attraverso i nostri spettacoli, una riflessione, porre delle domande, dubbi; non dare una nostra interpretazione o un nostro messaggio univoco, ma stimolare il pensiero critico, mettere in discussione la realtà che viviamo ogni giorno. Introdurre lo spettatore e i partecipanti al nostro lavoro affinché diventino promotori di una riflessione e, si spera, di un cambiamento. Da qui anche la domanda chiave che chiude lo spettacolo Lockdown Memory: “Ha ancora senso il teatro oggi” alla quale gli stessi spettatori provano a dare una risposta durante lo spettacolo. E infine la nostra frase di chiusura, che non vuole dare delle risposte ma aprire a delle speranze: “Certo, come artisti non possiamo pretendere di cambiare il mondo o di fare la rivoluzione, però possiamo coltivare i semi del cambiamento e continuare a far nascere eutopie”.
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Sabato, 19 aprile 2025 – Anno V – n°16/2025
In copertina: immagine di scena – Tutte le foto di ©InstabiliVaganti