sabato, Aprile 20, 2024

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SPECIALE IRAN – La forca degli Ayatollah per soffocare la voglia di libertà dei giovani

Una tirannide che dura da 43 anni

di Elio Sgandurra

Allah è misericordioso”, afferma uno dei comandamenti della religione islamica, ma i capi dello Stato confessionale dell’Iran – gli ayatollah, i mullah e tutti gli altri religiosi – lo hanno dimenticato e continuano a ignorarlo ordinando la dura repressione contro le ragazze, i ragazzi, le loro madri e i loro padri che manifestano pacificamente nelle piazze. La polizia della morale e i guardiani della rivoluzione ne hanno uccisi quasi 500 e gli altri rischiano pene severissime o addirittura la morte per impiccagione.

Nei giorni scorsi le autorità hanno mandato in onda un video che riprendeva un ragazzo che veniva condotto alla forca. Si chiamava Majidreza Rahnavard e aveva 23 anni. Le sue ultime parole sono state: “Vorrei che nessuno venisse sulla mia tomba a piangere, né a leggere il Corano; vorrei che veniste gioiosi a cantare e ascoltare musica allegra”. Come lui, migliaia di ragazze e ragazzi non ne possono più di leggere il Corano e pregare perché costretti, ma vogliono la libertà, la gioia e la musica.

Tutto è partito da una ciocca di capelli fuoriuscita da velo della giovane Masha Amini che per questo “peccato” è stata arrestata, torturata e uccisa. La sua morte ha suscitato la ribellione pacifica delle ragazze che per strada hanno sfidato la polizia togliendosi il velo. Chiedono libertà contro l’assurdo oscurantismo che soffoca il Paese da 43 anni. La risposta delle autorità è stata durissima, disumana, inimmaginabile per la nostra epoca.

Di fronte a questo terrore la scrittrice Dacia Maraini scrive rivolgendosi a quei tiranni:” Ma cos’è che vi fa paura della donna? I suoi capelli, il suo corpo, la sua intelligenza?” E poi ricorda che la misoginia esiste da sempre e il mondo cristiano un tempo ha condiviso lo stesso odio di genere, “la stessa voglia di infierire sul corpo femminile”.

Ma mentre il Cristianesimo ha cancellato quel passato con tanti mea culpa, l’Islam è rimasto fermo al suo medioevo. Il lucido terrore sparso dagli Ayatollah ricorda quello del “Vecchio della montagna” – di cui parla Marco Polo nel “Milione” – un santone che viveva tra i monti dell’attuale Iraq a capo di una banda di accoliti riempiti di hashish e mandati a derubare e uccidere i carovanieri e tutti gli infedeli. Venivano chiamati in arabo gli hashishin, da cui è derivato il termine assassini.

Molti di coloro che avevano creduto nella rivoluzione islamica del 1979 che costrinse lo Scià a fuggire, non avrebbero mai immaginato che il Paese sarebbe precipitato nelle mani di questa tirannide religiosa.

La causa scatenante della rivoluzione fu l’incendio, nell’agosto del 1978, del cinema “Rex” nella città di Abadan in cui morirono 450 persone. Venne subito data la colpa alla polizia segreta dello Scià, la Savak, ma in realtà le fiamme furono provocate da un gruppo di integralisti islamici mandati da un mullah locale per “punire” gli spettatori di un film “immorale”, cioè occidentale.

Nel Paese la tensione era già molto alta a causa della crisi economica provocata dalle enormi spese militari – l’Iran appoggiato dagli USA era divenuto il guardiano dell’Occidente – e dalle manie di grandezza dello Scià. Inoltre l’eliminazione di quel poco di democrazia esistente provocò una grande protesta di massa che bloccò il Paese: Il grande bazaar di Teheran chiuse i battenti, la popolazione scese in piazza.

Tutte le forze dell’opposizione – di ispirazione religiosa, nazional liberale, marxista – si riunirono intorno alla figura carismatica dell’Ayatollah Khomeini, in esilio in Francia. In un primo tempo la guerriglia armata fu condotta dai Fedayn-e Khalq, volontari del popolo marxisti che si unirono ai mujaheddin islamici. Le forze di sinistra ritenevano di gestire il potere del clero musulmano-sciita, ma questo, attraverso la capillare propaganda nelle moschee, divenne l’unico punto di riferimento della rivolta.

L’esercito si dichiarò neutrale togliendo l’appoggio allo Scià il quale nominò primo ministro il democratico Shapur Bakhtiar che concesse subito la libertà di stampa, indisse le elezioni e convinse l’imperatore a lasciare “provvisoriamente” il Paese. Partì per il Marocco il 16 gennaio del 1979, ma il suo esilio non servì a placare gli animi della popolazione che considerò l’avvenimento come la fine del potere imperiale. Tanto più che Khomeini non riconobbe il nuovo governo e annunciò il rientro in patria.

Al ritorno a Teheran, avvenuto il 31 gennaio, salutato da centinaia di migliaia di persone che lo attendevano fuori dall’aeroporto, assunse subito il potere dando via libera alla strage di centinaia di personaggi del vecchio regime. Vennero subito imposte le sue “riforme” tra le quali l’obbligo del velo alle donne; bandite le bevande alcoliche e il gioco d’azzardo; la pena capitale per l’omosessualità; la chiusura delle gallerie d’arte, dei musei, delle librerie che diffondevano la cultura occidentale; bandite le sfilate di moda.

Il referendum del 30 marzo sancì la nascita della Repubblica islamica approvata col 98% di voti. La nuova “costituzione” prevedeva un presidente e un parlamento con compiti soltanto amministrativi, mentre il vero potere passava nelle mani dei religiosi con una guida suprema – Khomeini – e un consiglio dei saggi.

I mujaheddin dilagarono in tutto il Paese spargendo il terrore mentre gli studenti islamici dopo che lo Scià si era trasferito negli Stati Uniti, occuparono l’ambasciata americana tenendo in ostaggio per un anno intero tutto il personale: una sessantina di persone tranne 12 che riuscirono a fuggire con passaporti canadesi.

L’Iran non era più il guardiano dell’Occidente, ma uno Stato islamico pronto alla jihad, la guerra santa, che nel 1980 scoppiò contro l’Iraq, armato dagli Stati Uniti. Il conflitto durò otto anni e provocò la morte di più di 500 mila giovani iraniani. Il tutto nel nome di Allah.

Sabato, 17 dicembre 2022 – n° 51/2022

In copertina: Il popolo accoglie Khomeini all’aeroporto di TeheranImmagine di dominio pubblico

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