lunedì, Aprile 29, 2024

Lifestyle, Società

Quando i poveri eravamo noi

La migrazione siciliana verso la Tunisia di fine ‘800

di Laura Sestini

Nei confronti degli esseri umani contemporanei che cercano alternative di vita migrando verso altri Paesi, ritenendoli più ricchi o migliori, dovremmo essere accoglienti – o quantomeno neutri. Nessuna persona lascia un luogo familiare e conosciuto, dove probabilmente è nata e cresciuta, senza un motivo valido e ponderato. E’ certo il caso di ogni individuo – uomo, donna o minore – che in questi ultimi anni ha tentato di varcare i confini europei, fuggendo da guerre e violenti dittatori, uragani o carestie.

Anche la storia italiana è affollata di storie di migrazioni – dei nostri non troppo lontani antenati – verso Paesi più prosperi, anche se non sempre molto accoglienti, movimenti di persone a ripetizione storica ciclica – come sta accadendo attualmente verso l’Europa, ma in direzione opposta.

Dopo la Grande Guerra, centinaia di migliaia di europei impoveriti dai molti anni di conflitto migrarono negli Stati Uniti – dove gli Italiani esportarono anche la Mafia – mentre dopo la Seconda guerra mondiale un ulteriore flusso migratorio portò molti connazionali verso l’America Latina – prevalentemente in Argentina – dove anche si rifugiarono numerosi gerarchi nazisti, o verso la ricostruzione degli Stati europei distrutti dalla guerra.

Ancor prima, dopo l’Unità d’Italia, una forte migrazione italiana si avviò verso i Paesi d’oltreoceano, fino all’Australia: tutte persone in cerca di una vita migliore che garantisse almeno il lavoro minimo per la sopravvivenza, che spesso mancava in Patria.

Gli Italiani che sono emigrati da fine ‘800, fino all’ultima ondata dopo la crisi economica mondiale del 2008, sono stimati in circa 29 milioni, di cui il 60% non è mai più tornato nel Belpaese, stabilendosi definitivamente nei nuovi Paesi di accoglienza.

Oltre a questi movimenti migratori a lungo raggio degli Italiani, non bisogna dimenticare gli spostamenti interni alla penisola – in maggioranza di padri di famiglia in cerca di lavoro, in particolar modo dal Sud verso il più industrializzato Nord o verso le regioni europee più ricche e sviluppate.

Tra i flussi migratori degli Italiani verso altri Paesi, il movimento dei Siciliani verso la Tunisia è quello senz’altro meno conosciuto – meno considerato e analizzato e poco à la page rispetto alla potenza attrattiva degli Stati Uniti o nei confronti delle immensità geografiche delle pampas argentine.

Invece, sebbene sottovalutata dal punto di vista storico, la migrazione di decine di migliaia di Siciliani verso la Tunisia fu importante, toccando numeri alti. Infatti la comunità stanziatasi nel Paese maghrebino, in alcune decadi raggiunse punte di circa 200 mila individui, per il grande esodo di manovalanza, con una compatta società di circa 130 mila unità.

Se il flusso maggiore di Siciliani verso la Tunisia si ebbe dopo l’Unità d’Italia, questi non erano certamente nuovi al quel territorio, poiché molti oppositori politici, nelle alternanze politiche, si rifugiarono in Tunisia. Peraltro la comunità di esuli politici italiani non proveniva solo dalla Sicilia, ma da differenti regioni, formando una comunità più eterogenea, accompagnata dagli ideali unitari. Lo stesso Garibaldi – eroe dei due mondi – scelse Tunisi per il suo esilio, da dove continuava a tramare insieme ai compagni del Risorgimento italiano qui rifugiatisi – creando peraltro una sezione della Giovine Italia che inviava denaro in Patria per le lotte politiche indipendentiste. Ancor prima erano arrivati in Tunisia gli Ebrei livornesi, una piccola comunità istruita e danarosa.

Verso la fine del XIX° secolo la Tunisia era una ancora colonia francese, presidiata da circa 10 mila cittadini transalpini, soprattutto gendarmi e amministrativi a controllo della colonia.

I Siciliani – specialmente chi era abituato a solcare il mare come pescatore – da notti senza tempo avevano contatti con i Tunisini, colleghi pescatori della sponda Sud del Mediterraneo; per cui non fu neanche difficile intraprendere viaggi a bordo di piccole imbarcazioni di legno, per superare il Canale di Sicilia e cercare fortuna in terra africana.

Prima gli uomini, padri di famiglia, che una volta insediatisi richiamavano la parentela, spesso fitta di figli nati uno dietro l’altro. E su questo non sembra essere cambiato molto dopo oltre un secolo – nelle modalità di espatrio ‘clandestino’ – delle migliaia di poveri o perseguitati politici, che toccano le coste europee nel 2021.

Allora – come oggi verso altri popoli – si descriveva chi arrivava in Tunisia dalla Sicilia stracciato o senza scarpe, o scurito dal sole nei campi, come: ”[…] popolo rozzo, selvaggio e irascibile, pericoloso e violento e dedito spesso alla malavita, gente che sbarca di notte illegalmente sulle nostre coste, spesso senza documenti e sotto falso nome, per la maggior parte galeotti, fuggiti alla giustizia italiana”; così i giornali francesi in patria e in Tunisia, descrivevano i Siciliani.

Nel tempo la comunità siciliana aumentò notevolmente di numero – nel 1898 contava circa 64 mila unità, dopo un sommario censimento francese, e in poco tempo 80 mila persone – tantoché la Francia colonizzatrice iniziò a preoccuparsi, temendo di perdere il controllo del territorio, mentre l’Italia, finalmente unitaria, vedeva questa crescente comunità di neo-Italiani come una piccola colonia in terra tunisina, da ampliare e da finanziare per acquistare terreni. La neonata Italia unitaria siglò anche importanti convenzioni con la Tunisia francese, per la realizzazione di moderne infrastrutture, che richiamarono qui molti lavoratori connazionali.

I Siciliani di Tunisia, come oggi vengono chiamati i discendenti in loco dei migranti dei secoli scorsi, benché in maggioranza fossero braccianti e manovali senza istruzione – prevalentemente da Palermo, Trapani e Agrigento, panteschi e lampedusani – non si persero d’animo. Erano lì giunti per lavorare e questo fecero – con sudore e fatica – diventando nel tempo piccoli proprietari terrieri o stabilendo commerci di più generi, dai datteri, al vino, alla carne di maiale (in terra musulmana) da esportare.

Non solo gente povera e rozza arrivò come migrante in Tunisia bensì, mentre si anticiparono i livornesi e gli esuli politici, in un secondo tempo anche molte famiglie borghesi siciliane benestanti, o anche nobili, andarono ‘a colonizzare’- in barba ai francesi sempre più allarmati – ampi territori agricoli, acquistandoli con denaro suonante. La famiglia Florio – quella dei vini e i liquori di Marsala – fu tra queste.

La comunità siciliana di Tunisia, operosa e creativa, sentì anche la necessità di costruire qualcosa di diverso, rispetto alle attività lavorative o commerciali, e iniziò con gli istituti scolastici, che servivano ai figli degli emigrati così pure ai tunisini, che già conoscevano la lingua italiana. Alle scuole seguirono un ospedale, un teatro – l’unico nella capitale Tunisi dell’epoca – associazioni culturali, infrastrutture, il servizio postale e pure dei quotidiani, come Il corriere di Tunisi, pubblicato fino al 1881.

Si ricostruì la Piccola Sicilia in terra straniera, tuttora esistente a La Goulette, una area sulla costa di Tunisi. Ad oggi i Siciliani di Tunisia si contano poco intorno a 3000 persone, diminuzione dovuta all’indipendenza tunisina dalla Francia avvenuta nel 1956, che obbligava di scegliere se rimanere o tornare in Italia, mentre i cognomi italiani in gran parte si sono persi nel tempo trascorso, per i matrimoni misti con gli autoctoni e anche dovuto alla globalizzazione che ha facilitato gli spostamenti e le unioni tra più tra nazionalità.

Dal 2016 il Siciliano è stato riconosciuto ‘lingua’ dall’Unesco ed stata istituita una Cattedra ‘Sicilia per il dialogo di cultura e civiltà’ – come master specialistico di Lingua e cultura italiana presso l’Università La Manouba di Tunisi – diretta dal docente ‘trapanese di Tunisi’ Alfonso Campisi.

I circolazione migratoria, l’intrinseca energia della vita che lavora per l’autoconservazione, insieme alla creatività dell’essere umano, non potranno essere fermate da nessun ostacolo, tantomeno dalla politica repressiva praticata ai quattro punti cardinali. La vita rimane il fondamento supremo dell’Universo, e non potrà essere arginata.

Sabato, 29 maggio 2021 – n°18/2021

In copertina: pescatori siciliani con le tipiche imbarcazioni di legno trapanesi – Foto: Italiani in Tunisia

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