giovedì, Aprile 25, 2024

Società

Marshall or Martial?

“Omen nomen” avrebbe detto Plauto

di Samanta Giannini

La gioia non sta mai troppo lontana dal dolore.

Eh già! Quella gioia che hai quando un’intuizione ti assale, la segui, la vuoi approfondire. Una sorta di briosa eccitazione. Un colpo di fulmine, Dio che sensazione! Conquisti Marte con un solo batttito di ciglia.

Tutto si attiva. Le pupille si dilatano, le endorfine fanno la ola, dopamina e serotonina si attorcigliano come due tangheri in plaza Dorrego, non fosse che….. gli occhi, molto più vispi ed attenti degli ormoni, virano su un anulare dove, spavaldamente troneggia una magnifica e ben tornita fede nuziale.

Ecchelallà ! Finito tutto. In un nano secondo: lui, il precipizio, tu il coyote!

Tra me e Marshall è andata un po’ così.

Incontrai Marshall sui libri di scuola e me ne innamorai all’istante.

Marshall, cognome inglese. In origine vanterebbe una sola “L” e la sua traduzione letterale di “maresciallo” o più arcaicamente “sceriffo” è ancora in uso.

Quella di Marshall è una singolare fonetica: ‘mɑːʃəl.

Casualmente (esiste il caso?) uguale a quella di “Martial”: ‘mɑːʃəl.

Come il Cambridge Dictionary ci fa notare “Martial” è una parola di origine latina, “consacrato a Marte, il Dio della guerra”, in Inglese utilizzato nell’ambiente delle forze armate ed in guerra.

“Omen nomen” avrebbe detto Plauto, un cognome un destino. Inchiniamoci tutti di fronte all’ infinita saggezza del latino.

George Catlett Marshall. Chi non lo conosce? Ah no, non si conosce?

Roba da non credere, seppur vera, esattamente come la sua pronuncia in Inglese

Ebbene sì, anche senza interpellare con scomodissime interviste a tema, tronisti/e, gieffini/e ed influenzatori/trici (come si dice in Toscana: sav’essero a offende’ se si usa solo un genere !!) in molti, moltissimi, troppi si troverebbero impreparati.

In Italia, ammesso e non concesso che uno studente riesca a finire il programma di storia per tempo – cosa rarissima – scoprirebbe che quella contemporanea ricorda Mister Marshall fondamentalmente, diciamo pure esclusivamente, per il suo glorioso “The Plan”.

“The Plan “, il salvifico piano (tutto statunitense) di ricostruzione dell’Europa post bellica, con il quale gli Stati Uniti si sarebbero, per anni, fregiati di aver salvato il “didietro” (si può dire “Didietro”? beh oramai l’ho detto) all’Europa, da un tristissimo e poverissimo destino chiamato fame.

Al netto dei languori gastrointestinali degli europei, il “Piano Marshall”, nacque, in origine, con l’acronimo E.R.P. “European Recovery Plan”.

Certo ‘sto Recovery sta sempre in mezzo qua da noi. Possibile che in Europa ci sia sempre “qualcosa” che, spesso, nemmeno quadra, da “recoverare”? Sempre eh ! Mai “ qualcuno” da “recoverare” in una bella residenza psichiatrica (Residenza è più chic, clinica fa brutto, sa di malato). Ecco quel “qualcuno” non si “recovera” mai, eppure ce ne sarebbero così tanti ! Mai una gioia…

Nel giugno del 1947, nella sala centrale dell’università di Harvard, di fronte ad un nutrito pubblico, Sir George Marshall snocciolava “the Plan”, non proprio punto per punto, ma piuttosto a somme linee (fosse mai che se ne intuissero i retroscena), su come gli Stati Uniti avrebbero aiutato finanziariamente l’Europa, nel “loro” – degli Stati Uniti – progetto di ristrutturazione economica, di tipo liberale ed interdipendente (mica scemi). Tutto bello ed ammirevole, non fosse altro che nei fatti, riempire lo stomaco, soprattutto per noi italiani, in quel momento era l’unico e solo grande progetto da perseguire e così – o quasi – andò, costringendo di fatto gli Stati Uniti a dirottare buona parte dei miliardi stanziati per le infrastrutture in beni di primissima necessità.

L’ “E.R.P.” piacque, fu approvato e poco dopo la sua attivazione, fu ribattezzato con il nome di colui che lo ideò (diceva lui), lo presentò (ad Harvard) e fattivamente lo seguì pure: il Generale George Catlett Marshall.

 George Marshall
Opera di Thomas Edgar Stephens e conservata presso la National Portrait Gallery – 1949

Ribattezzare l’E.R.P. con il suo cognome, decisamente faceva meno “formal”, meno impegnativo di “cappio al collo finché morte non ci separi”. Trasformava quella fame, quel dolore, quelle macerie nel volto di un uomo rassicurante, un vincitore magnanimo, dai grandi ideali di fratellanza, vicinanza e tanta, tanta cooperazione. Così tanta cooperazione da spingere addirittura l’inserimento dell’Italia nella Nato. Era il 1949, che ci facevamo noi nella Nato? A soli quattro anni dalla fine di una guerra, mezza persa, mezza vinta, mezza boh non si sa, e con tante pezze al deretano, macchiati di criminucci non da poco, tra cambi di “camicia” e fughe un po’ qua, un po’ là. Tutta questa fretta di averci così vicini-vicini, stretti-stretti, “cheek to cheek” nella North Atlantic Treaty Organization – N.A.T.O.?

Quale apporto avrebbe mai potuto dare l’italia? A tutt’oggi non siamo nemmeno un membro permanente. Bah!

Eravamo la Cenerentola d’Europa, capo e vesti cosparse di cenere, senza acqua né sapone, senza topolini – ci eravamo mangiati pure quelli – senza fatine, la carrozza era bruciata (faceva freddo), dei cavalli avevamo fatto salsicce ed il cocchiere era scappato con le sorellastre.

Why? “Pecchè”?

Il principe, scarpette alla mano, gridava: sciuscià!

Il Generale George Marshall: medaglia d’oro del congresso; medaglia stella d’argento; medaglia delle compagnie filippine; medaglia per l’occupazione della Germania; medaglia per il servizio alla difesa; medaglia alla legione d’onore; medaglia con la foglia di quercia (quella di fico era terminata).

Insomma un plurimedagliato. Sul campo? Non proprio.

Di battaglie ne vide poche ed i “campi” li frequentò ancor meno. Una Prima guerra mondiale di sguincio e una guerretta nelle Filippine di strafugo, dopodiché, un po’ di carriera qui, un po’ di carriera lì, approdò alla “corte” di Roosvelt che, intuitone l’X factor ne fece suo fedele consigliere, tanto da nominarlo, nel 1939, giusto giusto al nascere dei conflitti europei, Capo di Stato Maggiore dell’esercito degli Stati Uniti.

Nel 1941, pelo pelo, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, il Gran Maestro della Loggia Massonica del distretto di Columbia lo “presenta” ai “soci” e ne chiede l’ammissione alla loggia. Eh perché no?

In fondo il distretto di Columbia era anche comodo per George, poco impegnativo, da anni risiedeva a Washington D.C. praticamente sotto casa!

P.S. quando vedete la scritta Washington D.C., D.C. non è l’acronimo di “Divani e Caftani” ma District of Columbia, mica un posticino qualunque eh!

Ora diciamocelo, George ne aveva di ben d’onde a cui pensare, di cui occuparsi, nemmeno era troppo interessato a questi club esclusivi. Ma che si scherza? Con una Guerra mondiale alle porte, grandi decisioni da prendere, la vita di milioni di persone tra le mani, poteva mica pensare al “Bridge” del venerdì? Però pover’uomo, come avrebbe potuto dir di no ? Stava male, non era cosa educata; Roosvelt, anch’egli massone, ci sarebbe rimasto sicuramente troppo male. Quel rapporto simbiotico si sarebbe potuto incrinare, non era il momento. George Capo di Stato Maggiore aveva in mano tutto il conflitto; avrebbe dovuto gestire, per nome e per conto di Delano (Roosvelt), una intera e sanguinosa guerra dal divano buono di casa…..quella “bianca” e, si sa, il bianco si sporca facilmente. George mai si mosse da Washington, neanche per il tacchino coi mirtilli dei cugini in California; per anni non rivide un’onda del Pacifico se non sulle foto di Pearl Harbour, sacrificando anima e cuore alla causa bellica. Insomma un vero highlander delle strategie in smart working.

George Marshall fu anche di più. Fu padre orgoglioso di uno studio matto ed eruditissimo, sull’atteggiamento del soldato in battaglia, studio che da lì a seguire avrebbe cambiato definitivamente tutte le strategie nella gestione bellica dei conflitti, delle masse attraverso i conflitti ed i conflitti attraverso le masse.

Dave Frossman nel suo “On Killing”, ci spiega quanto sia stato “gajardo” questo approfondimento culturale, quanto sia stato innovativo e molto, molto, molto utile al potere. Ce ne parla Carlo Brevi in un sintetico ma di grande ispirazione, articolo.

Lo studio di Marshall – scrive Brevi – ha una importanza fondamentale; se compreso a fondo, rivoluziona totalmente la concezione dell’essere umano che da sempre ci viene propagandata.

“Nei libri di storia, le guerre sono descritte come inevitabili conseguenze di una serie di fattori; scontri in cui gli eserciti nemici si affrontano nel tentativo di eliminare l’avversario. Viene fatto credere che la guerra, il massacro, siano insiti nell’essere umano”.

La verità che emergeva dallo studio di Marshall era tutt’altra ed anche molto scomoda. Rivelando al mondo (al suo), senza fronzoli né merletti (mica era uno che passava le notti al tombolo eh !) che l’80% – 85% dei soldati in prima linea non utilizzava munizioni, George ci informava de facto, che per un uomo, uccidere un altro uomo, non fosse cosa tanto istintiva. E’ per questo che – continua Brevi – “ le scienze militari, adesso, si occupano maggiormente di scoprire il modo migliore per far superare l’istintiva riluttanza degli uomini ad uccidere membri della propria specie, piuttosto che di strategia e tecnologia”.

Bravo George, di base queste tue statistiche ci rincuorano e ci dicono che non siamo poi così malaccio. Vabbé, si, siamo competitivi, un po’ (assai) egoisti, del prossimo ce ne frega poco e male, ma da lì a togliere la vita agilmente a chiunque ci si ponga innanzi, pur consapevoli di rischiare la propria, magari un po’ ce ne corre. Certo è comprensibile, George, che questa, per te et similari, al contrario di noi, non sia stata una notiziona per la quale festeggiare.

Minore è il numero delle munizioni utilizzate, minore è la necessità di produrne di nuove; minore è il numero dei nemici morti, minore è la possibilità di vittoria; minori sono le vittorie minori sono le glorie in patria. Minori sono le glorie in patria, minori sono le glorie nel mondo.

Un mezzo disastro.

Comprendiamo, ordunque, la smania di poter porre rimedio alla naturale ritrosia omicida dell’essere umano, cercando soluzioni “creative”, traendo ispirazione anche da chi, senza grandi studi e statistiche, ci era arrivato prima: i Nazisti, i quali, apparentemente senza saper né leggere né scrivere, intuirono che forse questo piccolo ostacolo poteva essere scavalcato “imponendo” un aiutino alle truppe. Duecento milioni di dosi di “Pervitin” – farmaco a base anfetaminica – tra il 1939 ed il 1944, furono non solo un copioso aiutino ma una fonte di grande ispirazione per molti.

Se fino a quel momento Marshall era stato il braccio destro di Roosvelt, di Truman suo successore, ne divenne anche quello sinistro.

Da lì a pochi giorni Hitler si sarebbe suicidato (così dicono), la guerra era agli sgoccioli, Usa ed Unione Sovietica ne stavano uscendo nettamente vincitori, eppure ancora qualcosa bolliva in un pentolone che, guai a scoperchiarlo, sarebbe saltata tutta la cucina.

Lo scoperchiarono in Giappone.

Se da una parte, negli “ambienti che contano” era risaputo che Delano (Roosvelt) non vedeva proprio di buon occhio l’applicazione degli studi sull’impiego dell’energia atomica in ambito militare, con Harry, il massone, Truman (eh si pure lui massone !) fu tutto un altro paio di maniche. Il resto è storia. La storia triste di un potere marcato a fuoco sulla pelle degli inermi, di cui sinceramente pare strano che Sir George Marshall, Segretario di Stato ancora in carica, ne ignorasse gli antefatti, quanto gli sviluppi e per ultimi, ma non meno importanti epiloghi. Nel 1947, anno del R.E.P., nonché anno di presentazione del “Plan”, Truman lo nomina Segretario di Stato.”

Questo Marshall, dobbiamo dirlo, non nacque con la camicia, ma con la giacca doppiopetto. Nei momenti chiave della tragicità umana, lui c’era. Era lì, in prima fila!

Con sto popo’ di curriculum, colmo di carità e dedizione al prossimo, voleva il mondo che conta non aggiungere alla lista delle stellette anche un premio prestigioso? Che non glielo volevi dare un riconoscimento al Deus ex machina delle strategie militari del più grande conflitto mondiale della storia?

Con milioni di morti, giovani, di mezza età, anzianotti, immigrati dell’ultima ora, italiani mangia spaghetti, ragazzi di colore, schiavi prima servi dopo, lodevoli solo di gloria post mortem; uno sbarco suicida e due bombe atomiche, George Carlett Marshall fu insignito nel 1953 del Premio Nobel per la Pace.

Che dire, se non “ciumbia” (tipica espressione lombarda che indica stupore)!

Osservando timidamente la nostra umanità, dalla finestra di una storia che non può più essere nascosta, mi stupisco di stupirmi ancora.

Sabato, 15 ottobre 2022 – n° 42/2022

In copertina: fotoframe dal film “Sciuscià” – 1946 – Vittorio De Sica

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