martedì, Marzo 19, 2024

Economia, Italia, Politica

L’Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro?

Tra licenziamenti, violenza e morti bianche

di Laura Sestini

La settimana appena passata si dimostra quasi un bollettino di guerra per le morti sul lavoro: la più recente in ordine cronologico è l’autista del minibus urbano di Capri che – le prime indiscrezioni indicano un malore – è scivolato in una scarpata finendo incastrato in un canalone di cemento prospiciente ad uno stabilimento balneare fitto di villeggianti. Emanuele Melillo – di 33 anni – ha perso la vita nel fatale incidente, vicenda che poteva avere conseguenze molto più gravi, per l’affluenza dei passeggeri sul bus e dei bagnanti sul litorale. Dal 19 al 22 luglio – in soli quattro giorni – da nord a sud Italia si sono avuti altrettanti decessi per incidenti sul lavoro: a Carrara, Napoli, Parma e in Brianza, oltre al giovane autista di Capri.

La faccenda delle morti bianche nel nostro Paese negli ultimi anni si è molto accentuata; un tetro percorso silenzioso, di normative non osservate e di continuo risparmio sul personale, spesso non adeguatamente formato in materia di sicurezza sul lavoro. Numerosi decessi sono dovuti a cadute dall’alto, in ambito delle costruzioni edili, settore che tende anche ad includere molti lavoratori in nero, specie se stranieri – talvolta fantasmi senza documenti.

Le percentuali delle denunce di infortunio dei primi mesi del 2021, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, dai dati Inail – l’istituto nazionale sugli infortuni sul lavoro – appena usciti con il Rapporto 2020, sono salite del 5,7% in più; mentre i decessi – tra gennaio e maggio 2021 – risultano 434, due in più rispetto allo stesso periodo del 2020 (+0,5%) e ben 43 in più rispetto al 2019 (+11,0%).

Parallelamente, a seguito del mancato rinnovo del blocco dei licenziamenti previsto dal DPCM Cura Italia di marzo 2020 (poi convertito in legge il 24 aprile 2020), dal 1° luglio si permette nuovamente – ad aziende che hanno particolari requisiti – di mandare a casa i propri dipendenti in ‘esubero’. Le aziende potranno dunque procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, per cause inerenti le attività produttive e l’organizzazione del lavoro. Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi, questi interessano le imprese con più di 15 dipendenti che intendano effettuare almeno 5 licenziamenti in un arco temporale di 120 giorni, per effettiva esigenza di riduzione, trasformazione o cessazione dell’attività.

La delibera del Governo guidato da Mario Draghi, in realtà non porta niente di nuovo, poiché tale opportunità di licenziamenti individuali o collettivi – per le aziende – era già in ‘voga’ in tempi pre-Covid, introdotta con il Jobs Act di Matteo Renzi.

Piuttosto, a meno di un mese da questa scelta, la decisione si è già ampiamente rivelata azzardata, rischiosa e non preservatrice dei diritti dei lavoratori. A conferma di quanto asseriamo, il licenziamento in blocco dei lavoratori della GNK di Campi Bisenzio in provincia di Firenze, della Whirlpool di Napoli – processo già in atto prima dell’avvento della pandemia e di altre aziende del nord Italia, tra cui la TNT di Peschiera Borromeo, dove tra gli scioperanti davanti al magazzino, a giugno, era rimasto vittima – travolto da un camion in uscita che aveva forzato il presidio – il sindacalista Adil Belakhdim, referente di Si Cobas di Novara. Allo stesso tempo il picchetto degli operai in sciopero davanti alla Fedex a Tavazzano, in provincia di Lodi vengono assaliti da alcune persone con bastoni, pietre e bottiglie, individuate – secondo il sindacato Si Cobas – come bodyguard assoldati appositamente dall’azienda.

Non solo licenziamenti, quindi, ma anche violenze arbitrarie a danno dei lavoratori in sciopero davanti alle fabbriche, senza dimenticare la realtà della Texprint di Prato, i cui dipendenti sono in sciopero da oltre 5 mesi per i diritti di base, ed alcuni sono stati – sempre a giugno – picchiati direttamente dai titolari dell’azienda con pietre e mattoni.

Cosa sta succedendo effettivamente nel nostro Paese? La situazione, tra pandemia, aziende che chiudono per reale mancanza di lavoro ed altre invece che – complice la legge di mercato neoliberista – tentano ‘la fuga’ verso altri stati Europei per la dislocazione delle catene produttive a costi ridotti, non è particolarmente rosea. Infine, con questi meccanismi di mercato globalizzato, i Paesi che una volta potevano vantare un comparto industriale di rispetto, diverranno sempre più poveri – tale l’Italia – mentre si arricchiranno solo le società che si spostano nei luoghi dove il lavoro costa meno ed i lavoratori sono più facilmente ‘acquistabili’ per mancanza di applicazione di leggi in materia di diritti, e necessità di lavorare.

Per avere dettagli precisi e aggiornati, ci siamo rivolti ai lavoratori – in Presidio permanente – della GKN di Campi Bisenzio a Firenze – ponendo delle domande a Dario Salvetti, delegato sindacale Fiom, Collettivo di Fabbrica – la quale modalità di licenziamento per i 422 dipendenti – via email – ha tanto fatto scrivere sui giornali, sortito proclami da politici e sindacalisti, e discutere sui social.

Collettivo di Fabbrica in giro per le strade di FirenzeFoto courtesy Collettivo di Fabbrica GKN

Come sono organizzati i lavoratori GKN per la contestazione contro i proprietari dell’azienda – ovvero il fondo inglese Melrose – e l’improvviso licenziamento?

Dario Salvetti: – “Noi dal lunedì al venerdì siamo su turni regolari di presidio permanente, ognuno con il proprio turno. Un’assemblea permanente ad oltranza. Nonostante ciò ci sono dei reparti che garantiscono la funzionalità dell’azienda, che mantengono anche meglio di prima l’efficienza della struttura, al fine di poter riprendere la produzione in ogni momento. Se oggi uno dei vecchi manager tornassero dicendo “ragazzi abbiamo scherzato”, la fabbrica sarebbe perfettamente integra per ricominciare. Poiché però sappiamo che questo non succederà, e chiaramente non potremmo accettare scuse superficiali dalla società. La verità è che noi adesso potremmo produrre di più e anche meglio di prima, ed anzi dovremmo anche fare delle assunzioni”.

L’azienda si può definire come ‘occupata’?

D.S.: – “Noi siamo ufficialmente in Assemblea Permanente, che una forma legale permessa dal diritto di sciopero. Siamo qui ad oltranza, a disposizione, e potremmo riprendere la produzione in qualsiasi momento, se ce ne fossero le prerogative. Gli unici reparti che ‘lavorano’ sono quelli che mantengono attiva l’azienda”.

Come si prospetta il futuro?

D.S.: – “La nostra visione attuale è questa: ci sono delle belle parole da parte delle istituzioni e del Governo, ma alle parole devono seguire i fatti rapidamente. Fintanto che ai bei proclami non seguiranno azioni reali – nel tempo la nostra attitudine a credere alle parole cambierà visione. Quello che noi potevamo fare lo abbiamo messo in atto: l’Assemblea e il Presidio permanente, lo sciopero; con gli strumenti a disposizione di fatto abbiamo fermato la delocalizzazione, dei macchinari che sono dentro l’azienda e di parte della produzione. Noi rivolgiamo una domanda a tutti i quanti: con gli strumenti a disposizione abbiamo agito per quello che ci competeva, gli altri, il Governo e tutti quelli che stanno spendendo belle parole hanno strumenti a disposizione? E’ giusto che emerga come verità pubblica se gli strumenti non ci fossero, e che un gruppetto di operai può fare di più di un intero Governo. Non credo che noi siamo impotenti, ma poi sono le potenze economica e governativa complicità che si mescolano, infatti negli ultimi 30 anni si sono varate delle leggi che adesso manifestano ampiamente le conseguenze e ci mettono – come lavoratori – in queste condizioni”.

Ci sono possibilità che i dipendenti prendano in mano la produzione, come qualche volta è accaduto?

D.S.: – “Ci abbiamo studiato e riflettuto, ma su due piedi direi che al momento non sarebbe possibile. Questa è un’azienda che fa il prodotto finito, ma produce commesse per enti terzi dell’industria automobilistica; quindi dovremmo avere le commesse e le certificazioni da un cliente, non produciamo i pezzi prima per poi rivenderli. Se arrivassero ordini non avremmo problemi ad evaderli. Anche per Stellantis* – la multinazionale ente terzo per cui produciamo – vale lo stesso che per il Governo: la potenza si mischia alla complicità. O Stellantis ha subìto questa nostra stessa sorte – e in qualsiasi momento potrebbe decidere ribaltare la situazione e la questione; oppure la verità è che c’è il disimpegno generale di Stellantis dall’Italia, un disimpegno che va avanti da molto tempo, di cui noi siamo la prima conseguenza, nel senso che per Stellantis Fiat e FCA sono proprio l’ultimo pezzo, e stanno per me ridimensionando i mezzi, preparandosi alla copia dello stabilimento Sevel in Polonia, e quindi in futuro di spostare anche quella parte di produzione. Se noi lavoratori GKN siamo una conseguenza del piano produttivo di Stellantis, è difficile che Stellantis cambi idea, almeno non potrà farlo da sola”.

Ci sono altre realtà in Italia di licenziamenti di aziende più o meno grandi: siete tutti coordinati nelle contestazioni sindacali?

D.S.: – “No, non siamo coordinati. La lotta unitaria doveva essere lo sciopero generale, per impedire lo sblocco dei licenziamenti, invece non siamo arrivati ad un piano nazionale collettivo e adesso le singole aziende sono chiamate all’impresa titanica – come la nostra – di fatto per riportare sul piano nazionale la propria singola problematica. GKN – lo abbiamo spesso rimarcato – è un caso nazionale: ecco perché sta avendo l’impatto di attenzione e tanta risonanza. Adesso il piano generale lo dà il piano nazionale delle organizzazioni sindacali, quindi – viste le differenti problematiche che hanno peculiarmente le altre aziende colpite dai licenziamenti – non ci coordiniamo con questa o quella azienda in particolare. Quindi si arriverà ad una forma di sciopero generale, considerando i movimenti attuali. Se lo avessimo fatto prima – lo sciopero generale – secondo me saremmo stati più forti, ma non si può tornare indietro. In realtà già la Fiom ha indetto un o sciopero generale di due ore da usare in Assemblea (alla data del 20 luglio). La tattica di organizzare ed unire i lavoratori spetta alle organizzazioni sindacali, e non obbligatoriamente può essere vincente. Lo sciopero generale tende anche a mischiare anche i lavoratori delle aziende non in crisi, quindi in qualche maniera danneggiandole. Altrettanto è vero che se si coordinano e si sommano le aziende in crisi, non è detto che ne esca una forza. La via maestra per essere un grande numero rimane comunque lo sciopero generale organizzato dalle sigle sindacali. Se questa via maestra non dovesse attivarsi, intanto noi GKN per sabato 24 mattina abbiamo lanciato qua davanti allo stabilimento un corteo nazionale, a seguito della grande solidarietà ricevuta nazionalmente, fatta di messaggi, ordini del giorno e raccolte fondi. Quindi adesso abbiamo bisogno che questa solidarietà si concretizzi in una scadenza in carne ed ossa, per ribadire che siamo un caso nazionale, che potrebbe fare da apripista per altri casi. Non abbiamo scelto come slogan “la GKN non si tocca”, troppo particolaristico e non inclusivo delle lotte delle altre aziende. Il nostro slogan è “Insorgiamo” e si rivolge a tutti i lavoratori perché si uniscano alla lotta e perchè ragionino sulle condizioni di lavoro, di precarietà e bassi salari. Se vinciamo qua si aprono altri scenari e viceversa – se perdiamo – la situazione sarà ancora più critica per tutti. Il corteo del 24 partirà da davanti lo stabilimento”.

Qualcosa di importante da aggiungere?

D.S.: – “Noi abbiamo ricevuto l’appoggio di molte organizzazioni sindacali e le parole di cordialità ed impegno da parte delle istituzioni, e ne siamo grati. Ma abbiamo una storia e abbiamo la consapevolezza che molti degli attori e i protagonisti che in questo momento vengono a portarci questo tipo di solidarietà sono stati più o meno complici o non hanno impedito il determinarsi di questa situazione. Noi sappiamo come sono andate tutte le altre vertenze – non siamo degli ingenui – e sappiamo che l’indignazione e tutte le promesse ti danno forza, non ti fanno sentire solo e ti fanno andare avanti, ma potrebbero servire a cantarci la ninnananna, ovvero che c’è qualcuno sopra di te che sta intervenendo o ci sta pensando. Noi, come lavoratori, ci salviamo tra noi e quindi le belle parole non le disprezziamo, ma altrettanto abbiamo chiaro che la chiave di tutta questa situazione è il protagonismo di tutti noi e di tutto coloro che simpatizzano per la mobilitazione”.

*(Stellantis N.V. è un’impresa multinazionale di diritto olandese, produttrice di autoveicoli. Nata dalla fusione tra i gruppi PSA e Fiat Chrysler Automobiles, la società ha sede legale ad Amsterdam ed ha come consociate FIAT, Peugeot, FCA US, Opel, Citroën, Dodge, Lancia ed altro – n.d.g.).

Aggiornamento alle 16.30 del 24/7/2021 – Il corteo nazionale indetto per la mattinata dai lavoratori GKN per le strade della zona industriale di Campi Bisenzio (FI), ha visto sfilare alcune migliaia di lavoratori provenienti anche da altre regioni italiane. Presente il sindaco di Campi Bisenzio – Emiliano Fossi – ma nessuna autorità politica nazionale.

Sabato 24 luglio 2021 – n°26/2021

In copertina: delegazione di dipendenti GKN durante una recente manifestazione per i diritti dei lavoratori a Firenze – Foto courtesy Collettivo di Fabbrica GKN

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