sabato, Luglio 27, 2024

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L’ideologia cattolico-conservatrice della politica può uccidere

La Polonia antiabortista lascia morire ‘in nome della vita’

di Laura Sestini

Non è una questione di obiezione di coscienza la contesa sull’interruzione volontaria della gravidanza in Polonia.

Il Paese, al governo del Partito di estrema destra Diritto e Giustizia – di ispirazione nazionalista e sovranista guidato da Mateusz Morawiecki – dal 2016 ha tiranneggiato con accesi contrasti sulle donne polacche, scese in piazza in grandi manifestazioni per recriminare i propri diritti di cittadine e di genere, che con sgomento avevano visto sfumare poco a poco la possibilità di usufruire dell’interruzione volontaria della gravidanza.

Nelle piazze la gendarmeria antisommossa non ha risparmiato violenze ed arresti alle donne di tutte le età e ceto sociale che hanno tentato di proteggere quei diritti umani e civili insindacabili – su cui la Polonia si trova in contrasto anche con l’Europa.

Infine, dopo settimane di lotte femminili, a più riprese dal 2016, e restrizioni legislative sempre più severe iniziate già dagli anni ’90, ad ottobre 2020 le autorità polacche – sostenute dalla Chiesa e dai gruppi politici e civili antiabortisti – avevano tentato di far passare una delle leggi più rigide sull’interruzione di gravidanza di tutta Europa – in buona compagnia di Malta – lasciando qualche qualche blanda possibilità solo in caso di stupro ed incesto e di rischio per salute della gestante. Neanche in caso di gravi malformazioni al feto si era lasciata la possibilità di abortire. Oltre ciò, ognuno dei casi ammessi deve essere attestato almeno da due medici, e dal Tribunale in caso di violenza.

Solo tre settimane di imponenti proteste femministe erano state capaci di bloccare momentaneamente l’iter della Corte Costituzionale per l’approvazione della normativa contro l’interruzione di gravidanza – e far ritirare l’articolo sulle malformazioni del nascituro. La stessa legge verrà però pubblicata – nel silenzio mediatico – sulla Gazzetta Ufficiale polacca a gennaio 2021, ed entrata subito in vigore; evento che aveva innescato altre contestazioni di più gruppi della società civile. La deriva autoritaria ed ipercattolica del Governo polacco non è limitata ai diritti delle donne, ma pure ai movimenti LBTGQ+, che abitualmente si uniscono alle lotte di genere – ed attualmente anche sui migranti che si ammassano ai confini con la Bielorussia.

I movimenti femministi riportano che è difficilissimo riuscire ad ottenere l’accesso all’interruzione della gravidanza, per mancanza di medici che la praticano – utilizzando l’obiezione di coscienza – per la forte campagna antiabortista praticata dai rappresentanti della Chiesa, specialmente nei centri più rurali, e per la stigmatizzazione delle donne che vorrebbero accedervi. I numeri ufficiali indicano circa un migliaio di gravidanze interrotte ogni anno, ma le associazioni di genere ne stimano almeno 100 mila, a cui le donne ricorrono illegalmente o, chi può permetterselo, recandosi all’estero.

Mentre entrava in vigore il divieto di intervenire sulla gravidanza nonostante le gravi malformazioni del feto, ancor prima che la legge fosse definitiva molti medici avevano rifiutato di eseguire aborti di questi casi, temendo conseguenze legali. Chi è di fede cattolica ritiene la vita sacra, lo continua a ripetere anche Papa Francesco sostenendo che l’aborto è «un omicidio e non è lecito diventarne complici». Su ciò possiamo controbattere che anche per chi non ha fede religiosa la vita rimane sacra – partendo da presupposti laici – ma lo sono altrettanto i diritti civili ed umani che tutelano tutti i casi, compresa la volontà, o la necessità, di interrompere una gravidanza.

Inoltre, le donne che riempiono le piazze delle maggiori città polacche per protestare contro questa normativa, non si limitano a chiedere l’ultima possibilità che genera l’interruzione di gravidanza, bensì ambiscono all’educazione sessuale nelle scuole, lo smascheramento della pedofilia che attraversa globalmente il mondo cattolico anche in Polonia, l’accettazione delle omosessualità e delle persone transgender, ed altre tematiche relative alla sessualità individuale, che al momento rimangono dei tabù, ostacoli insormontabili per cui in secoli passati si potevano trascinare le persone al rogo.

Mentre lo scandalo dei clericali pedofili in Baviera sta aprendo altre ‘porte’ per i numerosi coming out confessati da oltre 150 dipendenti della Chiesa bavarese, la Polonia va in senso diametralmente opposto e si arrocca su concezioni totalmente anacronistiche.

Un anno è passato dalla messa in vigore della normativa antiabortista, ma è proprio a causa della sua mala e controversa applicabilità – e della schizofrenica ottusità ideologica cattolica di cui è intrisa, come pure la politica di Morawiecki – che le donne polacche muoiono nei casi di gravidanze difficili, o di malformazioni al feto.

E’ questo il motivo per cui le donne e le attiviste sono scese di nuovo in piazza questa settimana – a Varsavia e altre città; per denunciare gli ‘omicidi intenzionali’ di cui si macchia lo Stato polacco.

La vittima più recente è Agnieszka – deceduta il 26 gennaio – una donna di 37 anni con una gravidanza gemellare in corso al terzo mese, e madre di tre figli. A causa di forti dolori addominali il 21 dicembre si reca in ospedale, dove viene riscontrata la morte di uno dei due feti; ma per le restrizioni legislative in materia, nessun medico ha operato la donna per estrarre il ‘morticino’, rimasto nel grembo della madre in attesa che morisse anche l’altro, decesso avvenuto dopo una settimana quando i due feti sono stati rimossi insieme. Nel frattempo la donna ha iniziato a sentirsi male, nonostante le suppliche della famiglia per praticare l’aborto terapeutico che le è stato negato. Agnieska infine è perita di setticemia dopo settimane di sofferenza, mentre l’ospedale sostiene che abbia mangiato carne cruda con il morbo della mucca pazza, ma negando i referti. Sul caso è stata aperta un’inchiesta.

Qualche mese fa la stessa sorte era toccata a Isabela, morta a settembre dopo che gli era stato negato un intervento alla 22esima settimana di gravidanza, quando le si erano prematuramente rotte le acque.

Numerose sono le donne polacche che hanno trovato la morte perché i medici negano l’aborto terapeutico. Se questo è un Inno alla vita, come professano e inducono a far credere la politica e la Chiesa polacca, la possibilità dell’interruzione volontaria di gravidanza è senz’altro una pratica più coerente.

Sabato, 29 gennaio 2022 – n°5/2022

In copertina: installazione contro la legge antiabortista in Polonia – Foto credits: Notes from Poland Foundation

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