sabato, Luglio 27, 2024

Lifestyle, Società

La solidarietà cubana

Parla Aleida Guevara, figlia di Ernesto “Che” Guevara

testo e traduzione di Laura Sestini

«I popoli devono avere il diritto di vivere la propria storia, la loro stessa vita».

Inizia con questa semplice frase il discorso di Aleida Guevara, figlia del più famoso Ernesto Guevara – il rivoluzionario ed emblematico padre della donna – al discorso programmatico del summit
At the end of the world, un incontro internazionale sulle emergenze planetarie, tenutosi online il 12 maggio scorso.

Aleida Guevara svolge la professione di allergologa pediatrica, e lei stessa ha un approccio ‘rivoluzionario’ – per il buon riposo del “Che” – nel suo lavoro di medico.

Nel suo intervento al summit, Aleida racconterà una delle caratteristiche che lei reputa tra le migliori del popolo cubano: la solidarietà.

«La solidarietà è forse una delle cose più belle del popolo cubano».

«Una delle cose più belle che la Rivoluzione ha realizzato per le persone cubane è insegnarci a donare solidarietà a tutti gli esseri umani, in qualsiasi parte del mondo.

Ricordo un giorno che ero in corsia all’ospedale – sono un allergologo pediatrico – un professore mi ha avvisato che sarebbe arrivato qualcuno a Cuba per chiedere aiuto nella lotta contro l’Ebola. Ed io ho risposto che noi non sapevamo niente di questa terribile malattia.
Infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità è venuta a Cuba poco dopo ed ha chiesto aiuto per l’Ebola. Sapete perché? Perché erano sicuri che noi avremmo detto di sì. E così abbiamo inviato i migliori esperti del nostro Paese. Professionisti della salute, infermieri, medici e tecnici sono andati a combattere l’Ebola in Africa e ci sono riusciti. Tutto ciò ci dà davvero una forza straordinaria come popolo, perché puoi dire “noi siamo capaci, siamo in grado di andare ovunque nel mondo dove siamo necessari e aiutare altri esseri umani”. Non importa di che colore sia la tua pelle o di che religione sei, non importa nemmeno cosa pensi. Non importa. Possiamo semplicemente essere utili e ci proviamo. Questo è uno dei più bei princìpi della rivoluzione socialista.

Personalmente, come medico, allergologo, pediatra, sono andata alla mia prima missione in Nicaragua. Ero ancora giovane, avevo 23 anni, in quello che doveva essere il mio ultimo anno di laurea. La rivoluzione aveva appena trionfato in Nicaragua, e Cuba non aveva tanti medici come oggi. Allora, il comandante in capo Fidel Castro ha incontrato gli studenti dell’ultimo anno di medicina ed ha chiesto chi volesse fare un tirocinio internazionalista – rinominando l’ultimo anno della laurea in medicina ‘stage’. Quindi, del mio stesso anno, 480 di noi studenti ci siamo fatti avanti. È così che sono arrivata in Nicaragua.

È stata un’esperienza straordinaria per me, perché sono nata dentro la nostra rivoluzione. Voglio dire, sono nata avendo tutto, salute, educazione e dignità già garantiti e, non sapevo davvero cosa significasse un altro mondo finché non sono stata in grado di viverlo, di entrare in contatto con esso.

La famiglia di Ernesto ‘Che Guevara’ nel 1963. Aleida è l’ultima bambina a destra
Immagine di dominio pubblico

L’esperienza del Nicaragua è stata dura perché come processo rivoluzionario incipiente ha avuto – come tutti i movimenti rivoluzionari ovviamente – molte difficoltà. Oltre al processo rivoluzionario, la religione cattolica ha esercitato una grande influenza nel dividere le persone praticamente in due fazioni.
È stata dura, è stata un’esperienza difficile perché a Cuba io ero abituata all’assistenza sanitaria totalmente pubblica, gratuita e al servizio di tutte le persone.
Improvvisamente ho avuto a che fare con medici che sono andati al settore pubblico per un breve periodo e poi sono passati a quello privato. Quindi i pazienti potevano finire tranquillamente
in mani inesperte come le nostre. Allora abbiamo dovuto attingere alla nostra creatività e crescere come esseri umani lì. Questo abbiamo fatto.

Sono stata anche in Angola. Onestamente, quelli sono stati forse i due anni più difficili della mia vita. Devi vivere in Africa, devi sentire com’è lì la vita. Essi hanno sofferto per secoli e nulla può giustificarlo. Non è giusto. Come pediatra, è stato forse il periodo più difficile, il più estremo che posso ricordare.
Ho vissuto due epidemie di colera, ed è stato davvero orrendo. I genitori arrivavano ​​in ospedale con i bambini morti. Non potevamo fare nulla per salvarli. Più tardi avrei vagato da un capo all’altro dell’intero ospedale María Pía – poi ribattezzato Joscina Machel – prelevando sangue e somministrando soluzione salina. Era un lavoro immenso.

Ma poi si ottiene la soddisfazione di sapere che hai concluso qualcosa, che tu sei riuscita a salvare alcuni di quei bambini, o almeno ad aiutarli.

Poi ho iniziato a lavorare con i bambini affetti da tubercolosi ed è stata la cosa migliore che mi sia mai successa. Questi bambini erano anche socialmente rifiutati perché le persone avevano paura di essere infettate. In Angola ho imparato cose molto importanti e basilari che gli esseri umani dovrebbero sapere. Si deve lottare contro ogni razzismo, niente lo può giustificare. Questo sentimento deve essere cancellato dalla faccia della Terra. Lo stesso vale per il colonialismo. Non c’è modo, non c’è modo di accettarlo! I popoli devono, hanno il diritto di vivere la propria storia, la propria vita.

Il continente africano è stato depredato e sfruttato, non solo i suoi minerali e le terre, ma anche dei suoi esseri umani che sono stati portati in un altro continente come se fossero semplicemente animali da soma. Questi atti orribili nella storia dell’umanità non dovrebbero esistere! Dobbiamo, con ogni mezzo, impedire che cose del genere accadano nel mondo ancora oggi! Ecco perché la solidarietà tra i popoli deve crescere ogni giorno.

Ci sono tante cose da fare e tante persone da aiutare ma, non dobbiamo imporre la nostra cultura né la nostra ‘grande saggezza’ su di loro. Dobbiamo imparare da loro!
Durante il periodo in cui sono stata in contatto con le ostetriche Kichwa nel nord dell’Ecuador, ho imparato cose che non avevo visto in più di cento nascite in Nicaragua. Lì ho imparato cose che non sono mai state scritte nei libri perché si utilizza la saggezza ancestrale dei popoli.
Quindi, si deve imparare ad ascoltare. La solidarietà fa di più che farti crescere come essere umano sentendosi utile all’altro, ti permette anche di imparare la saggezza ancestrale.

L’enorme quantità di conoscenza che abbiamo raccolto nel corso degli anni è straordinaria, ed è tutto merito di esperienze come queste. Essere un medico internazionalista significa ripagare parte del debito che abbiamo verso l’umanità, e penso che sia una delle cose più belle che siamo riusciti a fare.

È così che abbiamo lavorato in diverse parti del mondo. Diffondendo il nostro messaggio di solidarietà alle persone, ma allo stesso tempo apprendendo, imparando molto sul bisogno di amore, comprensione e rispetto tra gli esseri umani. Se non siamo consapevoli di questo, non possiamo cambiare questo mondo. E dobbiamo cambiarlo questo mondo, non possiamo continuare a vivere così».

Durante il 2020, una delegazione di medici cubani è arrivata in Italia per contribuire al contenimento del virus SARS-CoV-2 nelle aree più colpite in Lombardia.

Sabato, 4 giugno 2022 – n° 23/2022

In copertina: gruppo di medici cubani internazionalisti in arrivo in Sudafrica – Foto: South African Government

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