sabato, Luglio 27, 2024

Teatro & Spettacolo

In dialogo con il regista Boris Slavchev

Un ponte tra Bulgaria e Italia

di Laura Sestini

In occasione dell’ultima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Archeologia, Arte e Ambiente di Firenze, nel marzo scorso, abbiamo incontrato Boris Slavchev, giovane regista bulgaro presente con il suo lavoro sulla città di Plovdiv (Filippopoli), ricca di archeologia e monumenti lasciati in eredità dall’Impero Romano d’Oriente.

Slavchev vive da alcuni anni in Italia: la sua regia sulle riprese di Plovdiv, un corto molto interessante, esula un po’ per tematica dai suoi cortometraggi precedenti. Un lavoro che gli è stato richiesto da un imprenditore bulgaro, Miroslav Stamov, anche produttore.

Ecco cosa ha risponsto alle nostre domande.

Lei lavora e vive in Italia. Da cosa è stato attratto per trasferirsi?

Boris Slavchev – In realtà, quando ho concluso l’Università a Sofia, ero convinto di rimanere nel mio Paese, ma dopo qualche tempo ho capito che avrei dovuto fare delle esperienze anche all’estero, senza una idea precisa. Quindi ho visitato numerosi paesi europei per cercare ispirazione. Poi ho scelto l’Italia, dove mi sono trovato bene con le persone, per l’atmosfera, i luoghi e il modo di vivere e vedere il mondo. Per una persona che si occupa di “arte” l’Italia è il posto giusto. C’è molta attenzione alla tradizione, non è un paese che corre follemente verso la tecnologia, come succede spesso altrove, per esempio in Germania e come anche si cerca di fare in Bulgaria. Mi piace che ancora si usino modi che hanno funzionato per molto tempo, senza stravolgere improvvisamente tutto. La tradizione è importante. In Bulgaria, in circa un secolo, prima siamo stati un Regno, poi è arrivato il socialismo e, infine, una democrazia che ha cambiato tutto, lasciandosi un po’ dietro le tradizioni. Per noi bulgari il passato ha un gusto amaro, ogni cittadino ha legami e ricordi con il passato in maniera diversa, chi è per il Re, chi per il socialismo. In pochi per la democrazia, che portato anche molta corruzione. Georgi Gospodinov, lo scrittore bulgaro contemporaneo più famoso, che ha vinto anche il Premio Strega ed altri premi letterari, ha scritto un libro proprio su questo tema: lo scontro tra il passato e la modernità. Secondo me la Bulgaria cerca di andare velocemente avanti per dimenticare il passato. Per questo mi sono trovato bene in Italia, prima con un progetto di volontariato europeo, vicino a Padova, dove andavo in bicicletta, ascoltavo la musica italiana e mi sembrava di essere negli Anni ’60 della provincia italiana, e poi a Roma, dove convivono insieme tanti secoli di storia, dall’Impero Romano all’arte contemporanea. A Roma, poi, c’è il cinema. Tanto cinema italiano ho visto negli anni e che amo moltisimo, tantochè apprezzo sempre meno quello americano. Purtroppo la mia comprensione della lingua italiana non è ancora perfetta, perdo parte del linguaggio nei film, sezione importante per capire più in profondità la stessa società italiana.

Come persona straniera è difficile vivere in Italia?

B.S. – Mi sono sempre trovato bene in Italia, non ho mai ricevuto parole razziste o episodi simili. Ma è una strada a doppio senso: se sei straniero e pretendi che le persone ti accettino come tale, allora ci saranno dei punti di scontro. Io sono venuto in Italia per vivere come gli italiani, non voglio né cambiare le persone, né il Paese. Mi piace camminare per le strade di Roma, sentirne lo spirito. Non posso sentirmi come un italiano, non lo sono, ma amo vivere in Italia e mi sento accettato. Ho frequentato a Roma un’accademia di regia dove ero l’unico allievo straniero, avevo difficoltà di lingua, non capivo talvolta gli scherzi o non conoscevo magari un attore famoso; però ho cercato di non chiudermi in questo tipo di situazioni, ma di calarmi nella quotidianità. La maggioranza degli stranieri fanno comunità con i loro paesani, in Italia ci sono molti bulgari, e avrei potuto fare lo stesso.

Come regista in Italia, lavora con staff italiano, bulgaro o internazionale?

B.S. – ll mio primo cortometraggio, “The connection”, è stato girato con una squadra bulgara e due attori italiani.

Nel secondo, “La strada di Nico”, che mi è costato due anni lavoro perché autoprodotto – e con in mezzo la pandemia – ho lavorato con un cast e una squadra di tutti italiani, dove io ero lo straniero. Entrambi i miei lavori li considero anche un esperimento tecnico, sia per lavorare con differenti nazionalità di persone, che per testare mia “poetica”.

Il primo documentario, “L’eredità di Boris Christoff”, sul famoso basso bulgaro, considerato tra i più grandi cantanti lirici del XX secolo, ha avuto abbastanza successo, presentato in diversi Festival, e l’ho usato anche per capire e sviluppare le mie qualità di regista.

Lavorando a La strada di Nico, all’inizio ho avuto delle difficoltà, perchè dovevo capire la mentalità delle persone che avevo davanti, gli attori e lo staff tecnico. Inoltre è stato girato in dialetto romanesco, quindi un doppio ostacolo, per capire la mentalità italiana e in particolare quella dei Romani. Ho lasciato libertà agli attori, ma in alcuni momenti sul set ci sono state battute che io non avevo capito bene. Solo al momento del montaggio ho iniziato a distinguere le parole. Comunque una bella esperienza.

Ci parla dei suoi cortometraggi sul tema della mafia, organizzazione criminale che esiste in Italia e in Bulgaria. Questo genere funziona ancora?

B.S. – Il primo lavoro, “La connessione”, tratta di un mafioso bulgaro che viene in Italia per guadagnare la fiducia della mafia italiana, per organizzare affari insieme, ma poi si innamora di una ragazza…. Il cortometraggio prende spunto da una storia vera, quando venne arrestata una donna bulgara, in Italia, tra innumerevoli altri indagati, per associazione a delinquere di stampo mafioso. La mafia italiana ha una storia molto più stratificata e lunga di quella bulgara.

In Italia le organizzazioni sono molto strutturate ed hanno regolamenti chiari. Invece in Bulgaria la mafia inizia negli Anni ’90 con l’arrivo della democrazia. Non si può definire “criminalità organizzata”, e chi appartiene a questo mondo, per anni, si è ammazzato l’un con l’altro per prendere il controllo del territorio. Adesso invece sono tutti riuniti intorno al denaro e sono entrati in politica. In Bulgaria non si capisce dove finisce la mafia e inizia la politica, e viceversa. In Italia mi sembra che ci sia almeno uno sforzo per proteggere lo Stato da queste organizzazioni.

Perchè mi interessa questa tematica? Intanto io amo molto Martin Scorsese e i suoi film sulle organizzazioni criminali e mafiose; è un argomento che tira ancora al cinema, che ha un pubblico di appassionati. C’è stato un filone importante anche negli ultimi anni, in Italia, per esempio con Gomorra e Suburra.

All’Università La Sapienza, nella mia tesi di laurea elaborai su una serie televisiva bulgara che narrava di mafia. Una ricerca artistico-cinematografica sul tema. Nel mio secondo cortometraggio “La strada di Nico”, si parla di mafia ma è la storia di una famiglia, di due fratelli, che entrano ed escono da un’organizzazione, ma cercano di salvarsi da questa. Attualmente ho scritto due sceneggiature, insieme a dei colleghi, ma su altri argomenti.

I suoi lavori hanno sempre parallelismi tra Bulgaria e Italia. Sta cercando similarità o differenze?

B.S. – Sì, ci sono molte cose simili tra Italia e Bulgaria, per la cultura e i rapporti sociali tra le persone; siamo sicuramente più vicini come popoli con voi Italiani che con i Tedeschi e gli Inglesi. Per quanto riguarda le differenze, attualmente in Bulgaria abbiamo molti problemi; nelle statistiche europee siamo gli ultimi in classifica per economia, c’è molta criminalità, una cattiva amministrazione del Paese, anche nel comparto giustizia. La vita dei Bulgari non è migliorata con la democrazia. Per certi versi abbiamo meno adessso che nel periodo socialista, oggi tanti Bulgari sono nostalgici. Sì, una dittatura, ma la vita era più organizzata, meno caotica, c’erano meno poveri. Il XX secolo è stato comunque violento in tutta Europa. La Bulgaria durante la Seconda guerra mondiale era coalizzata nell’Asse Roma-Berlino, e Sofia è stata rasa al suolo, e poi ricostruita in “architettura” socialista, che ritroviamo ancora oggi e si riflette nella società, simbolicamente.

Anche in Italia ci sono problemi, non manca la criminalità e ritroviamo una burocrazia pesante, difficile. All’Italia ci lega molto la storia antica: il popolo bulgaro abita quel territorio da millenni, ha fatto parte anche dell’Impero Romano che ha lasciato in eredità stralci del diritto. Eravamo un popolo mediterraneo, e in definitiva lo siamo ancora, confinando con la Grecia e la Turchia. Abbiamo molte cose in comune con gli Italiani. Ciò che ho cercato di raccontare nei miei lavori, di far emergere, sono proprio le similitudini che riscontro con l’Italia.

Quale obiettivo si pone il docufilm su Plovdiv, presentato all’ArcheoFilm Festival di Firenze?

B.S. – Questo è il mio secondo documentario; il primo, come già accennato, è sul cantante lirico Boris Christoff (1914 -1993), che ha vissuto la maggior parte della sua vita in Italia, di cui almeno 10 anni a Borgo a Buggiano, in Toscana.

Christoff ha avuto una vita molto difficile, arrivato in Italia con una borsa di studio del sovrano bulgaro Boris III, si è formato con il maestro Riccardo Stracciari. Poiché era obiettore di coscienza, non voleva partecipare attivamente alla guerra, fu deportato in un campo di concentramento. A fine della guerra, considerato vicino al Re bulgaro, non riuscì a rientrare in Bulgaria e riparò in Italia, dove visse tutta la vita, considerato un nemico dello Stato bulgaro. Solo verso gli anni Settanta i suoi rapporti con la Bulgaria iniziarono a intiepidersi. E’ poi scomparso nel 1993, io non l’ho conosciuto, sono nato dopo.

Perché sto raccontando questo? Miroslav Stamov, produttore del cortometraggio sull’arte imperiale romana nella città di Plovdiv, ha visto il mio lavoro su Christoff, gli è piaciuto e mi ha chiamato per girare l’altro. Lui è originario di Plovdiv. Io sono originario di Sofia: non tornavo a Plovdiv, la seconda città della Bulgaria, da quando ero ragazzino, anche se la conoscevo storicamente. Quindi nell’estate 2023, dopo qualche sopralluogo sui siti archeologici e discusso sul concept, abbiamo iniziato a girare il docufilm. In quel momento ci siamo incontrati anche con il direttore della fotografia, Simeon Mihaylov, di origine bulgara ma nato negli Stati Uniti, dove anche risiede. Stamov, oltre che produttore è anche drammaturgo e co-sceneggiatore, il motore del progetto.

Per la prima volta, per il docufilm, un drone è entrato nella Basilica di Filippopoli, per le riprese aeree. Questo progetto l’ho sentito mio quando ho capito che stavamo per “promuovere” la storia antica della Bulgaria, una dimensione poco conosciuta fuori confine. Anche quando lo abbiamo presentato a Firenze, abbiamo avuto questa sensazione. Far conoscere Plovdiv e la Bulgaria, e il popolo dei Traci, che hanno una storia antichissima, di cui Filippopoli/Plovdiv fu la capitale, è stato un sentimento che ho condiviso totalmente con il produttore.

Il cortometraggio ha un ritmo più veloce rispetto a un documentario, è stata una precisa richiesta di Stamov che non si occupa abitualmente di cinema e quindi aveva una idea tutta personale del film. Con Simeon Mihaylov abbiamo preso consapevolezza di questo sul campo, mentre giravamo. Quindi abbiamo cercato un compromesso sul ritmo del girato e sul testo del lavoro finale. Non molto tempo fa il cortometraggio è stato presentato alle autorità pubbliche e imprenditoriali della città di Plovdiv, nella bellissima Basilica di Filippopoli; chi sarà interessato ad averlo potrà usarlo in più ambiti, sia turistici che educativi.

Lei lavora anche come fotografo…

B.S. – In realtà ho praticato un po’ la fotografia analogica, poi ho iniziato a studiare tecniche audiovisive e cinema e ad occuparmi di quel settore. Da quel percorso sono tornato alla fotografia, mi sono appassionato all’immagine fotografica, alla luce, scattando su tematiche diverse. Ho avuto richieste di lavoro come fotografo ed ho proseguito, cercando anche maggiore livello qualitativo. Attualmente opero in entrambi i campi, anche se sono differenti, direi complementari. La fotografia mi aiuta molto nella regia, con la macchina da presa, per percepire meglio la composizione. La fotografia cattura un momento, un attimo esclusivo della vita, una sensazione, un’emozione, un evento, che rimarrà fermo per sempre, e sarà irripetibile.

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Sabato, 1 giugno 2024 – Anno IV – n°22/2024

In copertina: Boris Slavchev

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