mercoledì, Ottobre 16, 2024

Teatro & Spettacolo

Il mito di Parsifal

Viaggio nell’animo umano alla ricerca del divino

di Laura Sestini

Il mito di Parsifal si ri-genera nel film di Marco Filiberti, intitolato semplicemente Parsifal, girato nell’incanto della Val d’Orcia, in Toscana, e nella affascinante e mistica Abbazia di San Galgano, dove ritroviamo la spada che il cavaliere Galgàno Guidotti, vissuto nel XII secolo, divenuto eremita e poi canonizzato, conficcò nella roccia, cimelio bellico medievale che ancora oggi si può osservare nell’area dell’abbazia.

Le esistenze di Parsifal e San Galgano, benché il primo sia un personaggio tra storia e leggenda, manifestano delle somiglianze: entrambi sono stati cavalieri, Parsifal alla Tavola rotonda di Re Artu, ragazzo cresciuto senza famiglia in una foresta e ritenuto dal cuore puro. Ambedue sono alla ricerca del valore della vita, San Galgano nel tentativo di “evadere” dal caos delle guerre di potere in corso nel periodo in cui ha vissuto, convertendosi al Cristianesimo e rifuggendo i desideri terreni, alla ricerca di una verità di livello superiore che lo avvicinasse alle altezze divine.

Il giovane Parsifal sarà incaricato di andare in cerca del Sacro Graal, la coppa-simbolo dell’essenza di Gesù Cristo, il sangue suo versato, custodito dall’ultimo Re discendente dei Graal – il Re Pescatore – custode della preziosa reliquia. Parsifal sarà ammesso alla visione del Graal, comunque senza riuscirci, proprio in virtù del suo cuore immacolato, scevro di umane bassezze.

La terra del Re Pescatore, a causa dei sui peccati, è deserta, desolata, lui stesso è malato. Sebbene collocata in una scenografia dai tratti moderni, per i costumi di scena e l’architettura, l’apertura del film ricorda Querelle de Brest di Fassbinder, ma si svolge in una ambientazione immobile, senza tempo, dove nulla accade, come nel regno del Re Pescatore. Una nave dal nome Dedalus, ancorata ad un porto senza riferimenti geografici, offre immediatamente lo spunto per sondare il dedalo, il labirinto dei sentimenti umani.

Nella sceneggiatura del film sul leggendario personaggio di Parsifal realizzato da Filiberti – di cui lui stesso è l’autore – sono inserite stratificazioni di differenti contesti storico-temporali, il cui aggancio tra loro, il fil rouge, rimanda comunque e ovunque all’avidità, al desiderio, alla lussuria, alla devastazione dell’essere umano, alla degradazione della sua anima e della società di tutte le epoche.

Ed anche come le persone, nell’arco di una singola esistenza, possano cambiare, trasformarsi, nel solco sia del Bene che del Male, subordinatamente a cosa si aneli, sperimentando anche opposte esperienze, come nel caso di San Galgano, e della rappresentazione di Parsifal, nella percezione di Filiberti.

Il film, il quarto in ordine cronologico del regista, anche drammaturgo e regista teatrale, non è un film comune, senz’altro per un pubblico di nicchia, per il suo registro linguistico in primis, colto, da seguire con attenzione, dimensione che si può ritrovare più facilmente in teatro; per il ritmo mai frenetico delle scene, anzi dilatato; per i riferimenti letterari e culturali che non appartengono al cinema di massa.

Molto bella la fotografia, ricercata, raffinata, complici sia le scenografie di Livia Borgognoni, che gli ondulati paesaggi delle Terre di Siena. Interessanti gli abiti di scena, quelli di foggia medievale, realizzati con pregiati tessuti d fibre naturali – che Filiberti in seguito ha esposto a Montalcino – sia in stile Anni ’20, con tutti i loro luccichini.

Gli attori recitano sotto più vesti, lo stesso Marco Filiberti ha un ruolo attoriale di primo piano. Alcuni di questi avevano già esperienze artistiche con Filiberti, comparsi nelle rappresentazioni teatrali dell’eclettico regista-attore. Convincenti le performance attoriali, di entrambi i generi. Un film in cui è indispensabile fare attenzione ai dettagli, perché Filiberti ne ha molta cura, perché si perderebbe, altrimenti, una porzione di armonia e bellezza estetica che la pellicola offre.

Parsifal (Italia, 2021)

regia di Marco Filiberti,

con Matteo Munari, Marco Filiberti, Diletta Masetti, Luca Tanganelli, Giovanni De Giorgi, Elena Crucianelli, Zoe Zolferino

soggetto e sceneggiatura Marco Filiberti

scenografia Livia Borgognoni

fotografia Mauro Toscano

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Sabato, 18 maggio 2024 – Anno IV – n°20/2024

In copertina: immagine parziale della locandina del film

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