martedì, Marzo 19, 2024

Economia, Italia, Politica

I prodotti della finanza etica

Il microcredito che salva dalla povertà

di Laura Sestini

La finanza etica, come abbiamo già scritto (https://www.theblackcoffee.eu/cose-la-finanza-etica/), si sta ritagliando pian piano uno spazio all’interno della finanza tradizionale, anzi, più precisamente, sta sottraendo transazioni e prodotti alla finanza liberista che ha nel tempo lasciato sempre più in disparte l’etica professionale, attività volta solo al massimo profitto, a danno di ambiente sociale e naturalistico.

Se è vero che la finanza etica e sostenibile è ancora un settore ai primi passi, rispetto alla sorellastra tradizionale, è altresì vero che finora i due comparti non hanno allacciato tra loro grandi rapporti, costruendo due percorsi paralleli ed esclusivi. Relativamente a ciò, il maggiore ostacolo – per la finanza tradizionale di prendere in considerazione le differenti modalità finanziarie sostenibili – è che la finanza etica, oltre a contrapporre una politica finanziaria totalmente diversa, gestisce transazioni considerate di microfinanza, rispetto ai capitali a molti zeri che viaggiano ai quattro angoli della Terra nel settore tradizionale.

La microfinanza etica è, quindi, una variante della finanza tradizionale mondiale che abbraccia una politica socio-economica rivolta a piccoli capitali – o, meglio, a transazioni di piccoli importi, talvolta di qualche decina di dollari, come succede da circa 50 anni in Bangladesh e in altri Paesi sottosviluppati, luoghi con ampie sacche di povertà e con individui che non hanno avuto possibilità di sollevarsi, almeno in minima parte, dalla povertà endemica di certe aree, fin quando non si è sviluppato il microcredito – il prodotto più conosciuto della microfinanza etica.

Il microcredito, attualmente, è utilizzato anche nell’accezione più generica di finanziamento di piccolo importo – in UE generalmente fino a 50 mila Euro e, in Italia, fino a 25 mila – ma non obbligatoriamente inserito come prodotto di finanza sostenibile. Un noto istituto di credito italiano definisce il microcredito quale: “Credito di piccolo ammontare finalizzato allavvio di attività imprenditoriali generalmente escluse dal settore finanziario formale”.

Ora, se potremmo considerare etico il fatto di prestare denaro a un soggetto escluso dal settore finanziario tradizionale, ad esempio chi ha protesti o situazioni fallimentari alle spalle – quindi poter definire questo tipo di approccio finanziario ‘inclusivo’ e non discriminatorio – allo stesso tempo il medesimo istituto finanziario specifica che: “È un finanziamento solitamente destinato all’acquisto, costruzione, ristrutturazione, ampliamento di immobili, all’acquisto di impianti e macchinari, ovvero, alla copertura del fabbisogno finanziario connesso all’investimento e allo sviluppo delle Imprese e possono usufruire del finanziamento le micro imprese con meno di 10 addetti e con fatturato annuo inferiore ai 2 milioni”. Il microcredito degli istituti di finanza tradizionale nei Paesi industrializzati è, quindi, mirato a sviluppare microaziende già esistenti, anche se non è del tutto veritiero, perché ci sono anche progetti sostenuti da fondi garanzia statali o europei, attraverso canali tradizionali, volti all’imprenditoria giovanile o femminile e a categorie più vulnerabili.

Per comprendere l’eticità del microcredito nei Paesi sottosviluppati e poterlo rapportare al microcredito dei canali tradizionali dei Paesi industrializzati, è obbligatorio anticipare che ogni contesto geografico, rispetto al prodotto etico-finanziario di microcredito, ha peculiarità proprie, in virtù di componenti sociali, usi e costumi, vincoli religiosi e tradizioni locali. Non esiste un modello preciso di microcredito etico. Quindi riporteremo l’esperienza di Muhammad Yunus, l’inventore del microcredito etico moderno e di Grameen Bank, da lui fondata in Bangladesh negli anni 70. Il modello più conosciuto al mondo di microfinanza etica.  

Muhammad Yunus nel 1972 era un giovane docente di Economia e direttore dello stesso dipartimento all’università di Chittagong, la seconda città del Bangladesh, di cui era originario. Di famiglia abbiente, aveva avuto la fortuna di poter studiare e frequentare dei corsi anche negli Stati Uniti. Sebbene lui appartenesse alla fascia di popolazione bengalese senza problemi economici, il Bangladesh, allora, deteneva il 40% della popolazione sotto la soglia di povertà, questo anche a causa delle frequenti calamità naturali che riducevano i braccianti, i piccoli proprietari e gli agricoltori – il settore primario era la maggiore attività del Paese – sul lastrico in un batter d’occhio, e senza alcun sostegno statale.

“Il mio contatto iniziale con la povertà non fu questione di impegno politico, di ricerca sul campo o di studio. Semplicemente la povertà mi circondava completamente e non avevo modo di far finta di non vederla”, affermerà Yunus.

Forte delle teorie economiche apprese con lo studio, decise quindi di coinvolgere i suoi studenti in un progetto di ottimizzazione dei raccolti in un’area agricola non lontana dall’Università, contribuendo di tasca propria all’acquisto di sementi da fornire ai contadini coinvolti nell’esperimento, che aveva la finalità di ottenere più raccolti durante l’anno e, quindi, maggiori riserve alimentari per le famiglie o, se in eccesso, merce da vendere per ottenere un’entrata economica.

L’esperimento andò bene, ma si comprese che solo una parte di quel 40% di poveri poteva essere spinto a risollevarsi dalla propria condizione. La maggior parte non poteva provvedere alle necessità quotidiane di cibo e non tutti erano contadini o avevano un piccolo appezzamento di terra da coltivare. Ci si focalizzò quindi – per ottenere maggiori risultati – sulla fascia più disagiata tra i poveri: le donne.

Nonostante l’educazione musulmana tradizionale ricevuta, Yunus aveva una visione molto avanzata della società – e il nostro non vuole essere un giudizio negativo nei suoi confronti, tutt’altro. In quegli anni, le donne in Bangladesh – e tuttora in aree remote e in altri Paesi nel mondo – non potevano neanche parlare con uno sconosciuto, da sole, né mostrare il viso, tantoché, quando Yunus andava in visita nei villaggi rurali per pubblicizzare il suo progetto di microcredito, era costretto a parlare attraverso tende, finestre o grazie ad altri espedienti che non mettessero lui e la sua interlocutrice in contatto diretto. Le donne erano davvero le ultime degli ultimi.

In breve, Yunus – sperimentando sempre con fondi propri – riuscì a convincere una donna vedova con figli a prendere in prestito pochi dollari – con la promessa di restituirgli una piccola percentuale quotidiana a scalare sul debito che aveva contratto. Alina, nonostante tutti gli ostacoli che aveva nella società, fu capace di amministrare la piccola fortuna ricevuta – naturalmente senza garanzie se non la sua parola – e acquistò una mucca. Con il latte che l’animale produceva Alina ricavava di che vivere e ripagare il debito. In poco tempo la sua vita, con soli 27 dollari, era cambiata completamente. In questa maniera Yunus con la Grameen Bank I, fondata nel 1976 – e uno speciale modello di prestito a gruppi di 5 persone basato sulla reciproca solidarietà – prestò denaro senza garanzie a 12 milioni di poverissimi, dei quali il 97% era composto da donne. Le donne, da subito, si sono dimostrate le più abili nella gestione e nella destinazione del denaro preso in prestito – spesso utilizzato, almeno in parte, per la scolarizzazione dei figli – e le più affidabili nella restituzione.

Da allora, numerosi progetti di microcredito sono nati a livello globale; la stessa Grameen Bank – la banca dei poveri – trasformatasi nel frattempo in Grameen II, ha finanziato progetti in almeno 22 Paesi al mondo e, fattore altrettanto importante, l’istituto non è in perdita. I rimborsi si aggirano intorno al 98% dei prestiti. Per il loro percorso di sensibilità sociale, Muhammad Yunus e Grameen Bank, nel 2006, hanno ricevuto il Premio Nobel per la Pace – per aver contribuito a cambiare la vita di così tante persone, invisibili anche ai propri Paesi, e a promuovere lo sviluppo economico e sociale dal basso.

Un altro percorso molto interessante di microfinanza etica è quello di BancoSol in Bolivia, la più grande banca commerciale etica in America Latina.

In Italia, il microcredito etico ha progetti in diverse città – non solo attraverso Banca Popolare Etica. Ci sono Associazioni e programmi mirati che aiutano i poveri a cambiare la loro condizione economica e a riprendere in mano con dignità la propria vita, grazie a modelli simili a Grameen.

Il modello Grameen, rispetto al prestito tradizionale, ha spostato l’obiettivo dalla garanzia di restituzione dell’importo finanziato, alla fiducia nell’essere umano che lo riceve, restituendo dignità alla persona – valore, questo, inestimabile.

Sabato, 6 febbraio 2021 – n° 2/2021

In copertina: Una riunione sul microcredito in Bangladesh. Foto Grameen Org.

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