martedì, Novembre 05, 2024

Lifestyle, Società

Cos-play

L’arte del travestimento e dell’interpretazione

di Laura Sestini

La nascita del fenomeno cosplay – termine composto da costume+play, ovvero l’interpretazione di un costume, di un personaggio – non ha origini ben definite, ma senz’altro è legata al giornalista giapponese Takahashi Nobuyuki che coniò la parola cosplay per descrivere le persone mascherate da protagonisti delle serie di fumetti e fantascienza che aveva visto alla WorldCon di Los Angeles nel 1984.

Una decina di anni dopo il fenomeno prese piede anche in Giappone, attraverso l’interesse della stampa, poichè un gruppo di ragazzi iniziò a girare per le strade di Tokyo ispirandosi nei travestimente ai personaggi manga – i fumetti giapponesi – di una popolare serie TV.

Oggi, dopo oltre 30 anni, la pratica del cosplay è diffusa in tutto il mondo occidentale e numerosi festival gli vengono dedicati a tutte le latitudini.

Chi rimane fuori da questo variopinto e creativo mondo, ammira la sorprendente fantasia dei cosplayer, che si abbigliano ed interpretano personaggi noti del mondo virtuale, fumetti, serie televisive o letterarie, cinema, oppure inventano ex-novo dei propri personaggi, che altrettanto possono a loro volta acquisire notorietà e ammirazione dai fan che popolano questo “universo parallelo”.

In punta di piedi entriamo nel mondo del cosplay attraverso la testimonianza diretta di emy_cosplay3.0 e NickBrimstone_cosplay, i loro pseudonimi social, coppia nel gioco del travestimento e nella vita.

Come nasce il Cosplay?

Emy: – Il cosplay è nato in Oriente, con l’idea dei manga e del travestirsi, però il termine cosplay arriva da costume e play, quindi gioco e costume. Ci si diverte travestendosi da qualcosa, già esistente oppure, come nel nostro caso, da qualcosa di inventato.

Dove prendete spunto per i personaggi che inventate?

Nick: – Quelli inventati, in particolare, nascono da me. Vengono alla luce durante il Covid, quando eravamo murati in casa, da mano libera, davanti allo specchio con ciò che io vedevo di me stesso riflesso, delle emozioni di quel momento. Mi sono semplicemente disegnato. In seguito, quei bozzetti sono divenuti personaggi veri, un personaggio rappresenta me stesso nella vita reale, un altro rappresenta la mia rabbia, un altro rappresenta la depressione, e così via, comunque ciò che io sento dentro di me. Emy ha deciso di prendere i miei personaggi e renderli suoi, apportando modifiche, secondo la sua visione del personaggio. Con lei ci siamo conosciuti attraverso il mondo del cosplay, sui social, dove io postavo video con i miei personaggi e poco dopo anche lei ha iniziato con i suoi video. C’era curiosità l’uno nell’altro, ed appena la pandemia ci ha permesso di uscire di casa, ci siamo incontrati nella vita reale. La passione per il cosplay ci da modo di conoscerci più a fondo.

Si può paragonare il cosplay all’interpretazione di un attore? In fondo anche gli attori sono questo, si tramutatano in qualcun altro per la performance sul palco. Il cosplay permette di avere più personalità?

Nick: – Più o meno. Emy sta leggendo adesso un libro di Tim Burton, dove lui sostiene che agli attori basta buttare addosso un po’ di trucco per far emergere la loro vera personalità. Per quanto mi riguarda, questo è vero, probabilmente anche perchè, effettivamente, i personaggi li creo io, truccati da me, consapevole di cosa rappresentano per me. Quando io entro in un mio personaggio sento di essere molto più me stesso, rispetto a me senza trucco. Per quando riguarda invece la parte propriamente attoriale, sì, il personaggio va anche interpretato, soprattutto se non è un original, cioè un personaggio inventato da te, ma un personaggio esistente, magari di un cartone animato. In questo caso devi studiare come è quel personaggio se lo vuoi interpretare alla perfezione, cercando di riprendere tutti i dettagli possibili del personaggio. a volte non è semplice, ma fa parte del gioco.

E’ più difficile essere noi stessi senza trucco?

Emy: – Riprendendo la frase del libro di Tim Burton che ha citato Nick, in realtà l’interpretazione ha una sfumatura un pochino diversa. L’autore intende che in una società odierna in cui si tende spesso ad essere giudicati, nei comportamenti, negli atteggiamenti o per come ci si veste – anche se negli ultimi anni l’apertura mentale è un po’ maggiore – in un mondo così è più semplice nascondendosi dietro una maschera per esprimersi al meglio, perché è come entrare nella pelle di qualcun altro. Quindi se si fa qualcosa di strano, o qualcosa di più particolare, è come se non lo stessi facendo tu ma lo facesse il tuo personaggio. Un po’ come estraniarsi da se stessi, che è un po’ dissociante, ma anche bello perchè permette di liberarsi.

Dietro una maschera ci si può nascondere, ma in fondo anche senza trucco, nella vita, portiamo tante maschere

Nick: – Esatto. Ti svegli e indossi la faccia che vuoi. Con il trucco però è diverso, si ha proprio la sensazione di essere diversi. Essere consapevole del trucco e sapere che le persone ti vedono così e non ti vedono con la tua faccia pulita, ed essere in un luogo dove tutti la pensano in quel modo, dà proprio una sensazione diversa, sembra di entrare in un mondo diverso.

Emy: – Il mondo dei cosplay è veramente un mondo di persone che non giudicano. Puoi essere chi vuoi, come vuoi, e per tutto il tempo che vuoi. Le persone sono molto aperte; qualcosa che nel mondo normale può essere derisa, nel mondo del cosplay viene portata alla luce, valorizzata.

Nick: – Si parla di tutto in una manifestazione di cosplay, dove ci sono persone sia cosplayer che non, persone che vengono vestite per come desidererebbero nella loro quotidianità – in maniera più eccentrica, per così dire – e non vengono giudicate, anzi ricevono complimenti per il loro abbigliamento.

Ci potrebbe essere il rischio di “mascherare” troppo la nostra reale personalità?

Nick: – Naturalmente parlo della mia esperienza. Io mi sento amplificato, non mascherato. Di potermi davvero esprimere. Io vorrei essere tantissimo quello che sono nelle mie maschere e cerco di esserlo, in realtà, da quando interpreto i miei personaggi, perché me li sento talmente cuciti addosso, che sento di essere proprio io. Non si può essere così tanto espansivi nella vita quotidiana.

Avete mai provato a travestirvi e andare in giro al di fuori di un contesto cosplay? Potrebbe essere un esperimento interessante

Emy: – Di proposito no, ma mi è capitata un’esperienza una volta che dovevamo andare ad un evento, senza aver capito precisamente dove fosse, quindi siamo dovuti passare per delle vie in cui le persone probabilmente non avevano idea che non troppo lontano ci sarebbe stata questa manifestazione. In quel caso inizi a sentirti un po’ a disagio, sai di essere fuori luogo. La non consapevolezza delle persone talvolta influenza anche le nostre sensazioni.

Nick: – Con questa domanda mi torna in mente una situazione accaduta oltre 10 anni fa a Livorno, quando McDonald organizzò un evento in Piazza Grande, dove se arrivavi in pigiama vincevi 30 giorni di colazioni gratuite. In quell’occasione solo un mio amico ed io ci siamo presentati in pigiama, come richiesto. Per pigiama intendo roba vistosa, una vestaglia, ciabatte voluminose, un pupazzo in braccio. Nonostante la nota ironia livornese, volutamente siamo andati in giro per guardare le reazioni delle persone e, sinceramente la maggior parte ci ha guardato come due pazzi, in un orario dove si incontravano gli studenti alle fermate dell’autobus che andavano a scuola. Lo stesso evento organizzato a Pisa, città universitaria e più cosmopolita, la coda di chi si presentò in pigiama era lunghissima, una persona addirittura si presentò con un materasso. Quindi l’apertura mentale dipende anche dal luogo, dal contesto.

Sensazioni positive derivanti dal travestimento?

Emy: – Quando siamo inseririti in un contesto in cui le persone vanno lì appositamente per vedere altre persone travestite in cosplay, se si è vestiti in un personaggio già esistente, i bambini, ma anche gli adulti, ti chiamano con il nome di quel personaggio, quindi si diventa proprio altre persone. Se ti vesti da Biancaneve, ti chiameranno Biancaneve, ed è bellissimo vedere la felicità delle persone faccia a faccia con il personaggio, impossibile da incontrare dal vivo, vivendolo solo in Tv o nei videogiochi. C’è qualcosa di magico in questi incontri.

Nick: – Oltre alla parte esterna, del travestimento, che senza dubbio genera sempre meraviglia, la parte più mentale, psicologica, è una sorta di sfogo della vena creativa, che solitamente è difficile esprimere. Più volte mi è stato detto di essere molto bravo a trasferire le mie sensazioni nel trucco. Per fare questo devi conoscerti ed essere molto connesso a te stesso. Per costruire i miei personaggi oltrepasso molti processi mentali, tant’è che Emy dice che mi faccio dei film, giusto per aggiungere qualcosa al trucco o al personaggio stesso. Invento la sua storia e la “vivo” interpretandola attraverso il cosplay.

Emy: – Ciò che racconta Nick, vale ancora di più quando ci sono le esibizioni, delle competizioni in cui porti un numero, che potrebbe essere un lip-sync, un playback della voce con cui si mimano le parole di una scena di un film con un personaggio già esistente, oppure le parole di un gioco o, come nel nostro caso, qualcosa di inventato, di appena creato, in modo sincronizzato all’audio riprodotto.

Quindi questo riporta nuovamente alla recitazione teatrale, non vi sembra? Mai pensato di provare con il teatro?

Nick: – Sinceramente, a me non dispiacerebbe. Altrettanto! fa eco Emy. Noi veniamo quasi sempre premiati per la migliore interpretazione, siamo dei perfezionisti, e l’esibizione è sempre diversa, strettamente legata al personaggio. Personalmente vivo questa parte del cosplay in maniera quasi agonistica (per deformazione professionale di sportivo) mentre Emy più come divertimento. Nel dettaglio, io sono molto affascinato dal mondo della demonologia e similari, per cui tutti i miei trucchi e costumi sono in chiave molto dark. Infatti li chiamo “i miei demoni”, che però non rispecchiano la mia parte oscura, come si potrebbe facilmente pensare, bensì la mia parte più in movimento, di crescita, una parte più nebulosa che sto illuminando, su cui lavoro per comprenderla. Nel satanismo laveyano, a cui mi sono avvicinato durante la pandemia, che di satanico non ha niente, si afferma che ognuno è dio di se stesso. I demoni non visti come qualcosa di negativo, come rappresentati dalla Chiesa, ma come una spinta a guardare più in profondità per quello che si è, per conoscersi meglio ed, eventualmente, agire su se stessi per migliorarsi.

Sabato, 2 settembre 2023 – n°35/2023

In copertina: emy_cosplay 3.0 e NickBrimstone_cosplay – Tutte le foto fornite dai cosplayer (© tutti i diritti riservati)

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