sabato, Luglio 27, 2024

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Vite parallele: Julian Assange e Ian Fishback

Verità contro censura: come la giustizia statunitense persegue i whistleblower

di Laura Sestini

Venerdì 10 dicembre l’Alta Corte britannica di Londra, presieduta dal giudice Lord Burnett – Capo della Giustizia dell’Inghilterra e del Galles – e Lord Holroyde, ha capovolto l’ultimo verdetto pronunciato dalla medesima Corte a gennaio scorso dalla giudice distrettuale Vanessa Baraitser, che aveva considerato Julian Assange non idoneo nello stato di salute fisica e mentale per essere estradato negli Stati Uniti ed essere processato.

Incriminato per aver per aver divulgato dal 2010 documenti militari secretati statunitensi, riguardanti le guerre a stelle e strisce in Iraq ed Afghanistan, crimini contro la popolazione inerme o torture sui detenuti di Guantanamo, il giornalista australiano imputato – fondatore del portale Wikileaks attraverso cui si diffondono tali informazioni top secret – rischia di essere condannato con 17 capi di imputazione che si rifanno all’Espionage Act, una normativa statunitense sullo spionaggio risalente al 1917.

Fortemente voluta da Donald Trump, e ribadita da Joe Biden, la richiesta di appello era stata inviata alla Corte britannica ad agosto, mentre a compensazione dei timori della Baraitser – che giustificava la prima sentenza con il timore per la troppa pressione psicologica su Assange e il potenziale suicidio del detenuto – il Dipartimento di Giustizia statunitense in questi mesi ha presentato al Tribunale britannico delle rassicurazioni sul trattamento fisico, psicologico e detentivo che riceverà il giornalista, talora venga decisa l’estradizione; con la ‘benedizione’ del Presidente Biden e la possibilità di far scontare la pena al detenuto in Australia, suo paese natale.

Con la nuova sentenza, che ha ancora una possibilità di appello, la Giustizia britannica si affranca nuovamente la riconciliazione con la ‘cugina’ statunitense e la ‘consorella’ australiana, in un disegno oramai evidente di censura antidemocratica sulla libertà di parola della stampa, di quei rari casi che ancora ricercano con coraggio la verità. Sopra ogni altra cosa, la Giustizia ha voluto fin qui, e vorrà, ‘castigare’ Julian Assange per il suo operato, poiché nessuno si può permettere di contraddire che i morti iracheni – di cui è complice anche la Gran Bretagna – o le torture ai prigionieri ‘terroristi’ di Guantanamo non siano agiti in nome della democrazia e della ‘vera’ giustizia.

Contemporaneamente all’udienza di Assange, alla Camera dei Lord a Londra si discuteva di libertà di stampa, ma non è stato mai accennato, misteriosamente, alla causa ‘illegale’ dell’editore di Wikileaks, detenuto arbitrariamente nelle prigioni inglesi da 30 mesi.

Qualcosa di simile è accaduto anche negli Stati Uniti – ma di raggio più ampio – dove il Presidente Biden ha ospitato oltre 100 Paesi al ‘Vertice per la democrazia‘. Qui erano presenti, tra gli altri, Rodrigo Duterte, dittatore filippino e il brasiliano Joe Bolsonaro. Durante il summit è stato annunciato il lancio di una piattaforma a protezione dei giornalisti a rischio, e stanziati 3,5 milioni di dollari, per fornire formazione sulla sicurezza, strumenti digitali, assistenza psicologica e legale.

Oltre a questi due eventi, che sono – ad esser gentili – proprio una burla, un paradosso, un’offesa al giornalismo mondiale, un’inchiesta di Yahoo con moltissime fonti, riconduce da tempo su un disegno criminale di rapimento (ed omicidio per avvelenamento) di Assange, pianificato ai massimi livelli di governo statunitense e dalla CIA, o in alternativa la forte pressione psicologica a cui accennava la giudice Baraitser, da indurre al suicidio.

Ora, lo scopo primario di un bravo giornalista, oltre a riportare la verità più prossima alla realtà, sarebbe di far riflettere il lettore senza suggerire la soluzione o il pensiero comune.

Relativamente a questo, e parallelamente alla vita tribolata di Julian Assange – di cui maggiori dettagli potrete leggere su altri articoli da noi già pubblicati – riportiamo un fatto che è passato inosservato a gran parte della stampa italiana.

Nel 2005, il giovane capitano della 82a Divisione aviotrasportata dell’esercito statunitense Ian Fisherback – classe 1979 – si trova in missione in Iraq. Già alcuni anni prima di Chelsea Manning – che antecedentemente al cambio di sesso risultava al nome di Bradley Edward Manning ed era un militare Usa in Iraq – condannata nel 2013 a 35 anni di detenzione per aver fornito a Wikileaks di Assange le migliaia di documenti segreti sulla guerra irachena (pena ridotta poi da Barack Obama) – Ian Fishback inizia a denunciare ai suoi superiori le torture sui civili iracheni detenuti come presunti terroristi, di cui è testimone con le sue truppe durante la guerra mondiale dichiarata dagli Usa al terrorismo; dai colleghi verrà poco considerato, ed anche fattogli presente che ciò potrebbe influire negativamente sulla carriera militare.

Ian Fishback nel 2019 – Foto NewAmerica CC BY 2.0

Fishback – convinto nel suo intento – si rivolge quindi ad organizzazioni di diritti umani e alla stampa; infine – a settembre del 2005 – invia una lettera al senatore repubblicano John Mc Cain – candidato che perderà poi le elezioni presidenziali contro Barack Obama nel 2008 – per esprimere le sue preoccupazioni per il reiterato abuso sui prigionieri detenuti in Iraq, ed anche in Afghanistan dove ha precedentemente reso servizio.

Con le informazioni di Fishback, Mc Caine – insieme ad altri senatori repubblicani – scrive un emendamento per un disegno di legge già al dibattito del Senato, denunciando l’amministrazione di George Bush Jr. per l’uso di metodi troppo estremi nel conflitto iracheno, a seguito della ratifica del ‘Usa Patriotic Act’ che sospende i principi di diritto nei procedimenti investigativi, giustificando così le modalità della guerra globale al terrorismo. Mc Caine infine riuscirà a far votare la sua proposta di legge a protezione dei detenuti – che prenderà il nome di Fishback – firmata nel 2006 a malincuore dal Presidente George W. Bush.

Lo stesso anno il Times inserisce Ian Fishback tra i 100 uomini più influenti al mondo.

Di lì a breve, però, la vita personale e professionale del militare inizierà a prendere un’altra direzione. Nonostante la forte etica ed il suo coraggio, agenzie governative statunitensi e anziani alti ufficiali dell’esercito iniziano a perseguitarlo tenacemente.

Essere un whistleblower – un informatore – mette Fishback in una posizione delicata, proprio mentre sta completando un iter di selezione per le Forze Speciali dell’Esercito. Nonostante i possibili ostacoli alla carriera militare, egli rimane irremovibile sulla sua presa di posizione a beneficio della democrazia e della verità ascritte nella Costituzione statunitense, su cui in seguito – alla luce dei fatti – si esprimerà con altre parole: «L’America non è libera e la Costituzione è un modello di ipocrisia americana». Più di una volta rifiuta comandi dai ranghi più alti su questioni che non riguardano precisamente la mission in Iraq, ricevendo diniego dai colleghi e sentimenti di diffidenza.

Nel 2014 Fishback lascerà le forze armate e supererà brillantemente un dottorato in Filosofia. Nello stesso periodo iniziano anche episodi di malessere che vengono tacciati come ‘scompensi’ mentali verso la paranoia, benché la possibilità di essere spiato dalla FBI sia verosimile e ragionevole. Rifiuta di curarsi, come gli viene suggerito.

Recentemente, dopo alcuni episodi di rabbia in pubblico, un tribunale del Michigan – nella sua città natale di Newberry – gli ordina un trattamento sanitario obbligatorio e viene affidato ad una struttura pubblica per adulti, mentre lui chiede di essere preso in carico dalla VA – Amministrazione per i veterani di guerra.

La sera del 18 novembre un addetto del servizio per i veterani gli fa visita nella struttura sanitaria per malattie mentali dove risiede. La mattina seguente verrà ritrovato morto nel suo letto.

Il giorno seguente la scomparsa, una telefonata alla sorella di Fishback – da parte di VA – comunica che l’Amministrazione per i Veterani è disponibile a dargli aiuto.

Le cause di decesso non sono ancora chiare.

https://www.theblackcoffee.eu/il-giornalismo-si-e-dimenticato-di-julian-assange/

https://www.theblackcoffee.eu/julian-assange-rimane-detenuto-alla-belmarsh-prison-di-londra/

Sabato, 18 dicembre 2021 – n° 46/2021

In copertina: sostenitori di Julian Assange a New York – Foto: NYC Free Assange

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