venerdì, Aprile 19, 2024

Notizie dal mondo

Un dolore a 3 stelle Michelin

Un comparto economico e lavorativo che ha bisogno di civiltà

di Giorgio Scroffernecher

Anni fa, alla conclusione del suo terzo anno alle superiori, mio figlio si trovò un lavoro estivo come barista nel più grande e attrezzato villaggio turistico della zona. Mi rattristava sentire i suoi racconti su come veniva trattato il personale, per lo più giovanissimo: tanto lavoro, poco rispetto. Alla fine del primo mese di lavoro, il mio ragazzo ansioso di vedere la sua prima busta paga, rimase deluso perché il giorno fatidico, il titolare, dopo qualche birra di troppo, sparì prima della fine della serata lavorativa. La busta arrivò poi il giorno dopo con nessuna scusa al seguito. Trovai la cosa disgustosa, molto più della scarsità remunerativa, molto più delle male parole durante il servizio, molto più delle ore di straordinario non retribuite ma pretese.

E’ una storia personale, certo, tuttavia ha a che fare con due temi centrali alla nostra economia e la nostra società: i giovani e il settore turistico, entrambi protagonisti del futuro.

Infatti, ha ragione Sabrina Efionayi – 23 anni, figlia di due madri, quella biologica nigeriana, l’altra napoletana – autrice del libro “Addio, a domani” quando dice «Troppe bocche si sono riempite di parole “giovani” e “futuro” senza dar loro giusto peso. Perché parlare di come noi giovani siamo il futuro, quando siamo già il presente?».

E ha ragione anche Riley Redfern, una giovane ‘pastry chef’ in un ristorante di San Francisco con tre stelle Michelin che pochi anni fa la stava riducendo a una larva dedita nel suo poco tempo libero alle droghe e all’alcol: «Ho trascorso anni perdendo me stessa, mentre raggiungevo il successo. L’orario di lavoro poteva protrarsi da 10 fino a 18 ore al giorno e non era raro che lo chef di turno, nelle giornate peggiori, mi insultasse o mi tirasse qualcosa addosso». La sua storia, emblematica, ha fatto il giro dei giornali di mezzo mondo.

Belle toste anche altre storie dallo stesso ambiente. Andrea Zamperoni, 33 anni, brillantissimo chef lodigiano operativo al Cipriani di New York, è stato trovato morto qualche anno fa ucciso da una dose di Fentanyl somministratagli da una escort in un motel del Queens. Più recentemente, Carlo Giannini, un trentaquattrenne italiano originario della città pugliese di Mesagne (Brindisi), ottimo pizzaiolo apprezzato nella città d’oltremanica, è stato ucciso in un parco di Sheffield per mano di due loschi figuri che avevano, pare, appuntamento con lui nella notte. Insomma, storie che sembrano associare successi nel mondo della ristorazione alta, con vicende opache e basse nelle vite frantumate di questi giovani.


Il mondo occidentale terziarizza sempre più le produzioni industriali in quelli orientali, tenendo per sé le speculazioni finanziarie e l’universo dell’intrattenimento. Così anche l’Italia che in quanto a bellezza ne ha molta da vendere, offrendo, insieme alla bellezza, la bontà della propria tradizione culinaria. Una transizione in corso da anni che segna anche l’andamento delle scuole alberghiere, le più frequentate tra le secondarie professionali. Moltissimi i giovani che si avviano in questo settore in crescita, che pure include un costo in stress fisico e mentale dolorosamente pagato da chi ci lavora come dipendente.

Qui è ancora la Riley Redfern che parla dopo aver lasciato la ristorazione a tre stelle Michelin per dedicarsi alla sua nuova formazione in campo informatico: «La salute emotiva e fisica, un amore vero e sano da coltivare in un luogo di sincerità, valgono molto di più di qualsiasi forma di successo e fama. Non si parla abbastanza della salute mentale nell’industria dell’ospitalità, nonostante tante vite perdute per suicidio o abuso di sostanze. Le persone che lavorano nell’accoglienza sono naturalmente generose e quando un sistema che rifiuta pratiche di lavoro eque li sfrutta, si riducono a larve. I lavoratori dei ristoranti meritano di meglio».

Le storie che ho raccontato, come altre simili, non sono una novità per nessuno. In Italia disponiamo di un potenziale naturalistico, paesaggistico e culturale enorme. Non solo, abbiamo giovani di talento e molti che non lo sono ancora ma desiderano ardentemente di esserlo. Nel comparto della ristorazione, dell’accoglienza, dell’intrattenimento non abbiamo bisogno né di sindacati (peraltro al momento assenti del tutto) rivendicazionisti, né di associazioni imprenditoriali pronte a difendere l’impossibile (come spesso succede ora) ma di una vera trasformazione civile – magari guidata dalle parti sociali citate – che vede al centro proprio i nostri giovani che hanno diritto, prima di tutto, al rispetto e la dignità, poi di contratti di lavoro meritevoli di questo nome: l’impresa da una parte, il lavoratore dall’altra, senza cooperative fasulle di mezzo e subdoli mezzucci per non pagare o scaricare sul sistema di protezione sociale i costi del personale.

Sabato, 10 settembre 2022 – n° 37/2022

In copertina: foto di Marcela Villegas/Pixabay

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