sabato, Luglio 27, 2024

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Quel brutto giorno a Washington che mise in crisi la democrazia USA

Un anno fa l’assalto al Campidoglio

di Ettore Vittorini

È trascorso un anno da quel 6 gennaio del 2021 quando una marea di manifestanti a Washington diede l’assalto a Capitol Hill – la sede del Congresso – al grido di “stop the steal” – fermate il furto elettorale; sfondò il debole cordone dei poliziotti, superò le transenne e irruppe nel palazzo sfondando porte, penetrando negli uffici dove distrusse mobili, s’impadronì di documenti e minacciò l’incolumità di alcuni parlamentari democratici.

Era una turba impazzita di personaggi che innalzavano bandiere e vessilli del partito repubblicano, che indossavano i più eccentrici abbigliamenti, costumi da sciamani, giubbotti antiproiettile, confusi tra altri in giacca e cravatta, estremisti di destra, neonazisti, razzisti. Non era lo scenario di una manifestazione folcloristica degenerata in violenza gratuita, ma un piano organizzato per impedire la certificazione ufficiale dei voti che avevano portato alla presidenza Joe Biden. Ci furono cinque morti: un poliziotto e quattro manifestanti.

Alle ore 13 di quel giorno, il presidente sconfitto Donald Trump in un comizio aveva arringato la folla a marciare verso il Campidoglio, dov’era in corso una riunione parlamentare. Un’ora dopo 30mila manifestanti si accalcavano davanti all’ingresso del palazzo e pochi minuti più tardi in duemila lo assaltavano. Soltanto alle 17 e 30 la polizia era riuscita a riprendere il controllo e a compiere i primi arresti. Poco prima Trump – implorato da alcuni parlamentari repubblicani e dalla figlia – aveva “ordinato” ai suoi accoliti di tornare a casa dicendo loro: “Siete stati meravigliosi”. Fu un brutto giorno per la democrazia americana e gravi le ripercussioni di quella azione eversiva nelle altre nazioni, soprattutto tra quelle che considerano gli USA “un faro delle libertà”.

Non è stato ancora chiarito se fu un complotto preorganizzato o un assalto al Palazzo compiuto da un paio di migliaia di irriducibili, esaltatati dalle parole di Trump. Intanto le indagini della magistratura e della FBI hanno portato all’incriminazione di 725 persone mentre i processi – molti ancora in corso – hanno procurato già 31 condanne al carcere, 18 arresti domiciliari, 21 libertà vigilate.

Indaga anche una Commissione parlamentare formata da sette membri, di cui 5 democratici e due repubblicani. Questi ultimi si sono dissociati dall’ordine di non collaborare imposto da Trump. E su di lui la Commissione indaga se sia stato il promotore oppure la situazione gli sia sfuggita di mano. È comunque accertato che l’ex presidente – che ufficialmente era ancora in carica – aveva negato l’invio della guardia nazionale in rinforzo ai pochi agenti che controllavano l’edificio del Parlamento. Rimane ancora l’interrogativo sul perché il loro numero fosse così limitato contrariamente a quanto avviene in occasione di tante altre manifestazioni. Per questo motivo molti dirigenti della polizia di Washington sono stati rimossi.

Intanto Trump attraverso i suoi infuocati messaggi via Internet, continua a parlare del “grande furto delle elezioni” e molti personaggi a lui vicini si rifiutano di collaborare con la Commissione. I più noti sono Mark Meadows, ex capo dello staff della Casa Bianca e Steve Bannon, organizzatore della campagna elettorale di Trump, suo maggior consigliere e stratega durante la presidenza, grande nemico del multiculturalismo e delle comunità afroamericane e latine. È stato poi arrestato con l’accusa di aver truffato una parte dei fondi donati da molti americani per la costruzione del “muro” al confine col Messico. Oggi è libero su cauzione di 5 milioni di dollari.

Ma quale potrebbe essere la verità sui fatti del sei gennaio dell’anno scorso? Un giudizio lo offre il giornalista premio Pulitzer Laurence Wright, testimone diretto dei tumulti. Li definisce “un tentativo di colpo di Stato da parte del presidente per prendere il controllo del Paese da cui era stato bocciato attraverso le elezioni”.

Dunque secondo il giornalista gli Stati Uniti avrebbero rischiato un golpe. Dietro Trump non ci sono soltanto degli scalmanati ultra reazionari, ma intere lobby come la NRA – National rifle association – un’associazione politicamente molto potente nata nel 1871 che sostiene il diritto costituzionale dei cittadini a detenere armi.

Se Trump lancia ancora i suoi messaggi, ritenendo di essere stato spodestato da Biden, molti americani e una buona parte del partito repubblicano continuano a credergli e a sostenerlo. Certo da questa storia l’immagine degli Stati Uniti come ‘faro delle libertà‘ viene stravolta.

Sabato, 8 gennaio 2022 – n°2/2022

In copertina: l’assalto a Capitol Hill – Foto: TapTheForwardAssist – Licenza CC BY-SA 4.0

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