sabato, Luglio 27, 2024

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La Rivoluzione democratica in Siria di Nord-Est

Nove anni nel segno del rispetto e la collaborazione tra i popoli

di Laura Sestini

Il 19 luglio 2012, in territorio siriano a maggioranza curda – in mezzo alla guerra civile contro Bashar al-Assad avviata nel 2011 – nasce la Confederazione Democratica della Siria di Nord-Est.

Un processo democratico dal basso che unisce popoli di differenti lingue e credo religiosi, che insieme si sono autodifesi dalla barbarie dei mercenari del Califfato Islamico, con le unità militari YPG e YPJ.  

Ancora si combattono le differenti fazioni islamiste militanti assoggettate alla Turchia nella regione di Idlib e lungo la safe-zone decretata dagli Stati Uniti – unitamente alla Russia ed alla Turchia stessa – a seguito dell’invasione turca di aree confinanti in territorio curdo e della morte di Abu Bakr al-Baghdadi, bombardato dagli statunitensi nel suo nascondiglio di Barisha al confine turco-siriano, fatti di ottobre 2019. 

Mentre le unità militari erano impegnate alla difesa contro l’Isis, la società civile sul territorio del Rojava si è fatta carico di un esperimento unico in tutto il Medio Oriente, che mette in primo piano l’eguaglianza delle donne, l’ecologia, l’autodeterminazione dei popoli, la convivenza tra le differenti etnie. Difatti, non solo i Curdi sono coinvolti nel nuovo processo civile – benché ne abbiano dato l’avvio – ma dentro all’istituzione del Confederalismo democratico, insieme ai Curdi convivono Arabi, Turcomanni, Assiri ed Armeni ed altre minoranze etniche.

La Siria è entrata nel suo decimo anno di guerra civile, ed al-Assad eletto nuovamente presidente nell’ultima tornata elettorale di maggio scorso, con il 95% dei voti (https://www.theblackcoffee.eu/elezioni-presidenziali-siriane/).

Durante questi dieci anni di guerra, i popoli della Siria hanno pagato un grande prezzo, ed ancora le risoluzioni paiono molto lontane – dalla ricollocazione dei jihadisti e le loro famiglie nei propri Paesi di provenienza, detenuti nelle carceri confederali, o nei campi profughi come al-Hol; ai profughi rifugiatisi in Turchia; alla sostituzione etnica che tenta la Turchia nei territori contigui, per allargare i suoi confini; alle violenze che subiscono i civili dalle cellule jihadiste.

In barba ad al-Assad – intento a bombardare Idlib per liberare uno degli pochi territori rimasti in mano ai mercenari di ciò che fu il Libero Esercito Siriano – frantumatosi negli ultimi anni, in differenti gruppi e nomi – di cui alcuni attualmente sono affiancati alle unità di Tahrir al-Sham, ramo siriano di Al-Qaeda – la Turchia ne ha traghettati a migliaia in Libia, a sostegno dell’ex governo di al-Fayez.

In questo nuovo processo sociale che si è sviluppato in Rojava, né il regime di Assad, che usurpa e nega ogni tipo di diritto democratico e fondamentale del popolo curdo e degli altri popoli della regione, né i jihadisti, che hanno usato ogni tipo di pratiche disumane contro i civili, possono offrire un nuovo modello di convivenza che garantisca la pace dei popoli della regione, come sta accadendo lì – territorio che la guerra l’ha subìta, e da cui si è difeso, per la tentata conquista sia da parte di Daesh che della Turchia di Erdoğan.

Con l’occasione dell’anniversario della Rivoluzione democratica curda-siriana, fondata sugli ideali socio-politici di Abdullah Öcalan – leader del PKK detenuto da 20 anni nel carcere nell’isolotto di Imrali in Turchia – le autorità confederaliste dell’Amministrazione Autonoma della Siria settentrionale e orientale (AANES) e il co-presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD), Anwar Muslim, hanno lanciato una appello alla comunità internazionale e all’ONU perché AANES venga riconosciuta come istituzione, mentre è pronta a cooperare con tutte le parti siriane e rispettare la Risoluzione n. 2254 delle Nazioni Unite per risolvere la crisi bellica siriana.

L’AANES è simbolo della Rivoluzione delle donne, che hanno combattuto sul campo contro i mercenari di Daesh – tantoché il comando delle SDF – Forze democratiche siriane – per la liberazione della città di Raqqa, quartier generale jihadista, fu assegnato alla comandante curda Rojda Felat. A differenza degli anni antecedenti la guerra siriana, adesso – entro il processo rivoluzionario – le donne hanno posizioni di comando e di libera scelta personale, svincolate dal patriarcato che soffoca ancora in tutto il Medio Oriente.

Sabato, 24 luglio 2021 – n°26/2021

In copertina: giovani donne curde al fronte contro Daesh – Foto courtesy Uiki Onlus-Italia

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