martedì, Marzo 19, 2024

Economia, Italia

Imprenditorialità femminile

“L’imprenditorialità è l’ultimo rifugio del pianta-grane”

di Paola Perini

Entrepreneurship is the last refuge of the trouble-making individual”, Nathalie Clifford – Barney.

Mettere in discussione lo status-quo è la modalità attraverso cui ci siamo sempre evoluti, accettando momenti di rottura e sollecitando nuovi paradigmi che hanno cambiato il nostro modo di interpretare la realtà, i nostri valori e le nostre azioni. 

Quali sono i paradigmi trasformativi in grado di realizzare un vero e proprio “empowerment” – potenziamento femminile attraverso l’imprenditorialità e dove invece stiamo sfruttando delle potenzialità senza indirizzarle verso un’evoluzione positiva rivolta ad un cambio di paradigma ?

Un paradosso tutto italiano, ma non solo.

Chi mi conosce sa che mi sta molto a cuore la piena realizzazione del potenziale delle donne – attraverso l’imprenditorialità e la sua espressione specifica di genere nei tempi attuali di grande cambiamento. 

Imprenditorialità significa far emergere nuove organizzazioni in grado di offrire un nuovo valore alla società. Uno spazio molto sfidante che premia l’autonomia, l’autostima, l’azione e la responsabilità di scopo, sia semplicemente esso il profitto o qualcosa di più esteso per esempio il benessere. 

Il mio paese, l’Italia, è un paese con poca spinta imprenditoriale in generale e femminile in particolare. Le statistiche raccontano una realtà in cui l’imprenditorialità nascente, cioè coloro che iniziano e gestiscono un nuovo business, è relegata a poco più di 1 uomo su 18 e di 1 donna su 30 in età lavorativa, e dove il COVID-19 ha ulteriormente dimezzato la presenza delle donne. E’ un Paese che non da valore all’imprenditorialità. Dove essere imprenditore/imprenditrice di successo non è considerato socialmente un valore positivo né in termini di più alto status, né tanto meno una scelta di carriera desiderabile.  

Insomma vivo in un paese all’interno della regione dei paesi ad alto reddito (Europa e Stati Uniti) che si attesta tra i meno socialmente propensi a sostenere e realizzare l’imprenditorialità, e che è ancora insufficientemente dotato di adeguate politiche governative, di strumenti e di percorsi anche educativi rivolti a rendere la nascita e lo sviluppo imprenditoriale una realtà in genere e di genere. E tutto questo accade in un Mondo in cui l’imprenditorialità nascente ha tassi di 3,4…fino a 8 volte superiori.

Sono nel paradosso, dove il modo per generare nuovo valore è disconosciuto come valore e malgrado ciò, insieme a tanti altri, ormai da lungo tempo energizzo, rafforzo, e vado avanti perché è fonte di resilienza economica, innovazione, e anche di rigenerazione. Ma come superare un paradosso?

Una visione con il para-occhi e la necessità di riconoscere.

Ignorare un paradosso può verosimilmente condurre ad una visione con il para-occhi e può essere a detrimento della consapevolezza ed evoluzione. Leggendo nella visione con il para-occhi, le poche donne italiane coinvolte nell’attività imprenditoriale early-stage, oltre a percepire meno opportunità rispetto agli uomini, ritengono di avere notevolmente meno capacità, tanto meno quando l’opportunità e capacità sono fondate sullo sviluppo o l’uso di tecnologia “disruptive”. Insomma sembra che ci troviamo di fronte ad una bassa agentività di genere – cioè la capacità di agire attivamente e trasformativamente nel contesto in cui si è inseriti. Siamo poco assertive, parliamo a voce bassa o siamo senza voce, agiamo meno e con minori risultati pur avendo una maggiore scolarizzazione e una più ampia gamma di skill derivante anche dalle numerosità dei ruoli sociali in cui siamo immerse.

Ma mentre guardo la via Emilia dove vivo, una lunga strada consolare cha va da Milano a Rimini, la più produttiva e industrializzata d’Italia, mi rendo conto che ci sono settori in cui la presenza di nuova imprenditorialità femminile è sempre più rilevante e crescente, come nei servizi finanziari e assicurativi, nelle attività e servizi alla persona, nell’alloggio e ristorazione e nella cultura e intrattenimento. Si tratta dei settori posti sull’ultimo miglio, quello in cui l’innovazione umana rende le soluzioni accessibili e fruibili all’utente finale. Non ultimi i servizi alla persona in grado di ridurre la discontinuità nel lavoro, l’affollamento dei pensieri e la riduzione della produttività delle donne nel breve periodo. Insomma settori ad alta intensità ed impatto sociale.

Il mio binocolo mi dice che, malgrado il paradosso, c’è un’imprenditorialità femminile nascente che si manifesta in altro modo, più intensivamente a favore dell’interesse collettivo e benessere della comunità, mal misurato dal profitto o dal denaro. La nostra imprenditrice è agente attivo ed empatico e il suo prendersi “cura” rappresenta un elemento chiave del processo di creazione del valore e di emersione organizzativa. Allora come esprimere le sue potenzialità in mezzo alle tensioni del paradosso?

“Svelare” l’imprenditorialità delle donne. I semi e germogli di futuro.

Trovarsi in mezzo alle tensioni del paradosso significa stare in mezzo tra la stabilità del presente e il cambiamento possibile del futuro: tra il “riconoscere” l’imprenditorialità femminile e lo “svelare” l’imprenditorialità delle donne. Tra una conoscenza presente dell’imprenditorialità fatta di percezione, capacità e intenzione e una conoscenza possibile fatta d’innovazione, di nuovi modi di soluzione di problemi e di creazione di conoscenza. 

Sotto questa luce è importante affiancare al concetto di imprenditorialità femminile , perlopiù quantitativo e descrittivo del numero delle teste nelle diverse posizioni organizzative, quello di imprenditorialità delle donne, più qualitativo, che racconta le specificità e il successo e l’attualità delle donne nell’imprenditorialità.

Inventività, agire concreto e scalabilità sono nella sostanza le qualità essenziali del processo imprenditoriale che si esplica nella “continua esplorazione, valutazione e sfruttamento delle opportunità”. Qualche germoglio dell’imprenditorialità delle donne lo cominciamo a intravedere laddove i mercati e la società riconoscono la creazione di benessere e cambiamento sociale attraverso cooperazione, uguaglianza e il mutuo rispetto spostando la misura del successo imprenditoriale dal profitto all’impatto (per esempio quanto le vite di più persone e dell’ambiente sono migliorate o meglio trasformate), passando dalla missione del creare valore privato al creare valore sociale, allargando il senso dell’azione imprenditoriale dal profitto allo scopo.

Mentre i nuovi semi dell’imprenditorialità delle donne sono proprio nel processo imprenditoriale: nella capacità della donna di stare nel problema, qualsiasi esso sia indotto dal COVID-19 o più facilmente dai casi fortuiti della vita, di coltivare la capacità di prendersi cura dell’altr*, scalando in profondità senza rinuncia o disperazione, di tessere in quella rete fisica e virtuale che consente la propagazione e la costruzione delle relazioni, degli eco-sistemi che non solo nella realtà egoistica di oggi rappresentano la principale forma di sopravvivenza delle comunità, della natura ma anche delle tecnologie. Oltre ad un lavoro di formalizzazione che permette di “svelare” l’imprenditorialità delle donne, le vere opportunità di sviluppare un cambiamento positivo di paradigma stanno nella maggiore incorporazione del ruolo di imprenditrice e del potenziamento della capacità di portare cambiamento attraverso le relazioni con chi è affine e tessere ecosistemi.  

Con “feed your browser” cercherò di far conoscere le parole che “svelano” l’imprenditorialità delle donne. Del resto, me ne occupo tutti i giorni. 

Sabato, 4 dicembre 2021 – n° 45/2021

In copertina: immagine di Banksy (Bethlehem- Palestine) rivisitata graficamente

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