martedì, Marzo 19, 2024

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Il Sudan in mano ai militari

Bloccato il cammino verso la democrazia

di Ettore Vittorini

Sembrava che il Sudan dopo la rivolta popolare del 2019 e il colpo di Stato – che aveva abbattuto la dittatura islamista di Omar al-Bashir – si fosse avviato lentamente verso la democrazia. Invece lunedì un golpe militare ha interrotto quel cammino. Il governo è stato deposto e il premier Abdalla Hamdock con i ministri, sono tutti agli arresti domiciliari, mentre le truppe hanno occupato le stazioni radiotelevisive, interrotti tutti i collegamenti via internet e sciolti i sindacati.

Si è ripetuto lo stesso copione della epidemia di colpi di Stato tanto frequenti nel Terzo mondo. I golpisti guidati dal generale Abdel Fattah al-Burhan, promettono di restare fedeli alla democrazia che – secondo loro – sarebbe stata messa in pericolo dal governo appena fatto cadere. Nel frattempo le truppe hanno sparato contro i manifestanti che protestavano, uccidendo alcune decine di persone.

Alla guida del Paese i militari già componevano insieme ai civili il ‘Consiglio sovrano’ creato per guidare il percorso verso la democrazia. Di fatto il potere era nelle loro mani: agivano senza consultare il Premier ed i ministri; in politica estera stipulavano trattati – tra i quali la fine delle ostilità con Israele – e si accordavano con le bande ribelli; possedevano una gran parte delle risorse economiche, dalle piccole aziende ai commerci e alle grandi imprese di costruzione.

Le voci di un imminente colpo di Stato circolavano già da tempo e la popolazione manifestava a causa della profonda crisi economica con un’inflazione arrivata al 400%. Lo stesso premier Hamdock – un economista – si era lamentato che l’80% delle risorse economiche del Paese sfuggiva al controllo del governo. E come i militari dell’ex Birmania, padroni dell’economia di quella nazione, i loro colleghi sudanesi vogliono tenersi ben stretti i capitali illeciti ed esentasse.

Il Sudan non ha pace da tempi lontani. La sua antica storia si intreccia con quella dell’Egitto dei Faraoni che avevano occupato la Nubia, parte settentrionale della regione. Successivamente anche l’Impero romano tentò di penetrarvi con delle carovane che giunsero sino al lago Ciad. Poi arrivarono gli Arabi che imposero l’Islam, soffocando le comunità africane del Sud.

In tempi più recenti, nel 1820 l’intero territorio passò sotto l’influenza egiziana ostacolata dalle continue ribellioni delle varie tribù locali. Nel 1888 in aiuto dell’Egitto – divenuto un protettorato britannico – arrivarono le truppe inglesi. L’anno dopo queste subirono una pesante sconfitta con la conquista di Khartoum – e l’uccisione del loro comandante, generale Charles George Gordon – da parte delle forze ribelli guidate da Muhammad Ahmad.

Questi si era proclamato il Mahdi, cioè diretto discendente di Maometto destinato a restaurare la religione e la giustizia. Morì di malattia sei mesi dopo lasciando campo libero agli Inglesi comandati dal generale Herbert Kirchner che nel 1899 conquistarono l’intera regione.

Su questa guerra nel 1939 fu prodotto dagli inglesi il film Le quattro piume, un colossal a colori, che ottenne un grande successo e in Italia arrivò negli Anni cinquanta. Girato poco prima dello scoppio del conflitto mondiale, aveva toni antimilitaristici. Nel 2002 il remake americano non fu all’altezza del primo.

Sino al 1956, anno della sua indipendenza, il Paese aveva il nome di Sudan Anglo-Egiziano. Ottenuta l’autonomia ha avuto governi militari filo-arabi favorendo la parte settentrionale del Paese in maggioranza di etnia arabo-musulmana, a danno del Sud con prevalenza etnica africana e di religione cristiana. Tra le due parti era scoppiata una lunga e sanguinosa guerra civile che alla fine, nel 2011, ha portato all’indipendenza del Sud Sudan. E’ una lunga storia di guerre che sembra non aver mai fine.

Sabato, 30 ottobre 2021 – n° 40/2021

In copertina: le proteste popolari a Khartoum – Foto: Rawy Mo

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