A Vicofaro si realizza un principio cardine della cristianità: “ero straniero e mi avete accolto“
di Lucy Mitchell Pole
Riesco a raggiungere il sacerdote al telefono in un pomeriggio ‘normale’: sta guidando verso un paese a pochi chilometri da Pistoia per recuperare uno dei suoi “ragazzi”, caduto dal monopattino, con dolore ad una gamba. Don Massimo Biancalani, il parroco pioniere di Vicofaro, parla liberamente durante il viaggio, poi riprendiamo il dialogo dopo la visita all’ospedale, da dove tornano tutti sani e salvi alla Chiesa/rifugio di Vicofaro.
Don Massimo, può raccontare come è iniziato questo straordinario progetto di Accoglienza alla chiesa di Vicofaro? Negli anni avete avuto molto sostegno, ma c’è stata anche parecchia opposizione, dall’interno della Chiesa e dal mondo laico mi sembra di capire, è così?
Don Massimo Biancalani – Sono arrivato in questa parrocchia nel 2006 e abbiamo cominciato a fare l’accoglienza nel 2015. Il Papa aveva da poco fatto un appello di aprire le porte ai migranti e alle porte della nostra chiesa bussavano diverse persone, evidentemente bisognose. Quindi tutto è iniziato come un servizio gratuito, di volontariato, da parte della comunità. È stato come la realizzazione del primo sacramento della Chiesa, e cioè la Carità: rimettere la Carità al centro della vita della parrocchia.
Non è una cooperativa che gestisce il rifugio e non è l’unica esperienza di questo genere, ma in un certo senso, è rivoluzionario in quanto il nostro cammino e la nostra riflessione coglie lo spirito, il cuore profondo e cristiano del Vangelo. Realizzando quello che è un tema molto importante nella Bibbia, appunto, l’Accoglienza, ossia un servizio centrato sul bisogno dei più poveri e vulnerabili, anche nel contesto della modernità.
Purtroppo ci sono i detrattori del progetto, sia all’interno della Chiesa, che nella comunità e nelle istituzioni. Il fatto che siamo riusciti a creare un ‘rifugio’ dà fastidio a molti cattolici, ai parrocchiani stessi, alla gerarchia ecclesiastica… La Chiesa, da un po’ di tempo, cerca spesso di delegare molto della carità all’associazione Caritas.
Quando abbiamo aperto le porte dei locali parrocchiali per dormire e vivere, a molti è sembrato uno scandalo. Poi abbiamo cominciato a usare anche la chiesa perché non bastava lo spazio per ospitare tutti. Dicevano che sembrava di mancare di rispetto a un luogo sacro, mentre è proprio il contrario! Ripeto, è una azione perfettamente in linea con lo spirito del Vangelo, con il primo sacramento: la Carità, Accogliere l’Altro, ovvero il dovere morale e spirituale che ci arriva dall’antichità, e che si traduce, al giorno d’oggi nell’ Accogliere lo straniero.
Gli ospiti che vivono qui, più o meno riescono tutti a capire e parlare l’italiano? Quindi molti riescono a inserirsi anche nel mondo del lavoro?
Don M.B. – Infatti, per questa esigenza abbiamo cinque insegnanti, ora in pensione, che vengono due volte la settimana a tenere i corsi d’italiano di vari livelli per quelli che hanno bisogno. I nostri ospiti vengono da molti paesi diversi e quindi se vogliono comunicare fra loro, devono imparare ad usare l’italiano!
Certo, per molti il lavoro è la cosa più urgente. Escono, chiedono, cercano, e via via i ragazzi se lo trovano il lavoro e si fanno anche apprezzare. Nell’industria tessile a Prato, nei vivaismo pistoiese, nell’edilizia, anche nella ristorazione. Abbiamo appena finito un corso sulla sicurezza sul lavoro in collaborazione con la Regione Toscana e la CGIL. I ragazzi devono essere consapevoli dei rischi e dei pericoli, e dell’importanza dell’uso dei dispositivi di sicurezza.
Come viene finanziato questo progetto “alternativo” di accoglienza, le varie spese? Non essendo una cooperativa o progetto d’accoglienza gestito dalla Prefettura, come fate a mantenere tutto solo con il volontariato, tra le mille difficoltà, per non parlare delle problematiche che hanno molti dei vostri stessi ospiti?
Don M.B. – Hmm…., hai messo il dito sul punto dolente! – abbozza una risata. Non è il cibo che pesa tanto, ma ci sono le utenze, la manutenzione, le riparazioni, e poi anche i ragazzi che hanno un disagio particolare e bisogni particolari.
Bene, ci hanno aiutato in tanti, tutti volontari, cristiani e anche molti laici. Devo dire che molti volontari vengono a dare una mano anche da lontano, a volte portano beni di ogni genere, vestiti, coperte, asciugamani, scarpe, anche alimentari a lunga conservazione. Poi c’è chi contribuisce con una donazione, chi viene a dare una mano e chi ci sostiene in altri modi.
La Regione Toscana sembrava disposta a recepire il progetto come un servizio alla comunità; infatti potrebbe rifinanziare le cosiddette “leggi samaritane” approvate nel 2018; potrebbe attuare l’ordinanza firmata dal Presidente Enrico Rossi che prevedeva un rafforzamento del servizio di Vicofaro e nello stesso tempo l’individuazione di soluzioni abitative alternative. Ma per ora non ci sono prospettive concrete.
La Chiesa stessa ci ha dato una mano, ma sempre saltuariamente. Anche Papa Francesco ha dato una grossa mano, nei primi anni. Ci sono discorsi sul valorizzare l’iniziativa e renderla più stabile, strutturale, ma l’anno scorso abbiamo dovuto affrontare addirittura un’intimazione allo sgombero, da parte del sindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi, per motivi igienico-sanitari. Per fortuna tutto si è risolto e abbiamo potuto proseguire.
Vedi, quasi tutti gli ospiti a Vicofaro hanno fatto un lungo e pericoloso viaggio attraverso mari e continenti; hanno subito violenza, tortura e soprusi di ogni genere prima di approdare in Toscana. Ancora oggi tanti di questi giovani portano addosso i segni, fisici e psicologici, nella loro fragilità esistenziale. La chiusura del rifugio metterebbe in strada fino a 130 persone. Questi giovani stranieri finirebbero alle Cascine di Firenze, alla stazione e nei parchi pubblici. La chiusura obbligata sarebbe un atto disumano, nonché perfino controproducente per quanto riguarda la sicurezza e l’ordine pubblico. Non mi si può chiedere di sgomberare, io sono qui per Accogliere. E lo farò fin tanto avrò la possibilità e le risorse per farlo.
Infatti, la strada in avanti c’è, se la vogliamo cogliere. Prendere questa realtà come un esempio di Buone Pratiche, da condividere, tradurre in altre lingue e copiare in altri luoghi, in Toscana e oltre, come un nuovo modello di accoglienza e integrazione, come il modo per realizzare il potenziale creativo e sviluppare davvero la ricchezza della differenza. Dare valore, risorse e strumenti a questa realtà sociale, a tutta la comunità accogliente (compreso i residenti che protestano) per coinvolgere tutti/e nel progetto, ognuno con le proprie capacità, e il tempo disponibile. Tutti/e i residenti del quartiere potrebbero andare fieri di partecipare ad una esperienza-modello: l’assistenza a questi giovani migranti usciti dal percorso previsto di accoglienza e in cerca di una vita “normale” serena e dignitosa.
Ovviamente l’iniziativa ha bisogno, oltre di risorse e strumenti, di un progetto comprensivo come mappatura del territorio. Un progetto che comprende l’apprendimento della lingua italiana; la formazione o tirocinio presso i vari luoghi di lavoro; l’educazione civica, i diritti e doveri dei cittadini e i principi base nella Costituzione repubblicana; la conoscenza di usanze culturali, le tradizioni locali e la religione, nonché lo scambio reciproco con i residenti di tali conoscenze, magari in feste di quartiere, Comune o Provincia. In questo modo la società si aprirà al mondo che sta cambiando, allineandosi con la ricerca di soluzioni positive, costruttive, giuste e solidali, nessuno escluso.
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Per partecipare alle spese della gestione quotidiana di questo modello di Accoglienza, qui le coordinate:
Parrocchia di Vicofaro
Via Santa Maria Maggiore, 71, Pistoia
IBAN: IT25MO306913834100000002852 – Causale: contributo per L’Accoglienza
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Sabato, 18 maggio 2024 – Anno IV – n°20/2024
In copertina: un manifesto di accoglienza a Vicofaro – Foto: 2024©Archivio fotografico Ishtar Immagini