Quando la sete di potere si scontra con il pensiero umanistico
di Laura Sestini
Fin dal Rinascimento, la Congrega dei Rozzi, poi accademia e da oltre un secolo anche teatro, a Siena e in Toscana è stata sinonimo di cultura. Ed è proprio al Teatro dei Rozzi di Siena che l’arte teatrale del regista Marco Filiberti è tornata sul palcoscenico con la figura di Don Carlos, figlio del regnante Filippo II di Spagna, liberamente tratta dall’opera di Friedrich Schiller, poeta e drammaturgo tedesco.
L’estetica è la firma imprescindibile di Filiberti, addirittura un segno etico che ritroviamo anche nel pensiero filosofico pre-romantico di Schiller, per cui “bellezza” diventa il concetto chiave per unire etica ed estetica.
Il sentimento del sublime si materializza sul palcoscenico del Teatro dei Rozzi fin dai primi movimenti attoriali, nei quadri scenografici, scenici e coreografici carichi di atmosfera generata dall’insieme degli strumenti del teatro, luci, gesti, costumi, recitazione, su cui Filiberti ha da tempo istruito sia la sua affezionata Compagnia di bravissimi interpreti, sia il pubblico che lo segue copioso ad ogni sua rappresentazione teatrale o cinematografica.
Sul personaggio e il pensiero intellettuale di Don Carlos, principe delle Asturie, Filiberti sta lavorando da tempo, messo in scena già alcuni anni fa con un cast e un percorso attoriale-narrativo differente rispetto al Don Carlos attuale, attraverso cui si cercano prove d’autenticità, come cita lo stesso titolo.
Don Carlos è una figura che appare molto attuale, che può facilemente rapportarsi al contesto contemporaneo, dove da una parte c’è ambizione di conquista e sopraffazione di altri popoli (Filippo II di Spagna), mentre per contro, altri (Don Carlos e Rodrigo) anelano ad una società più affine alla propria natura e personalità, di inclusione, carica di sentimenti positivi come l’amore e la solidarietà, di libertà e creatività, su cui Filiberti si sofferma indugiando sul sentimento di amicizia tra Don Carlos e Rodrigo, il marchese di Tosa. L’idea di un mondo armonioso si lacera aggredita dalla violenza mentale e fisica vissuta da Don Carlos per mano del padre, che lo considera persona non adatta a sedere come erede sul trono di Spagna, e da cui teme dei tradimenti, dei complotti. Un figlio di stirpe reale che non ama la guerra, come è mai possibile? Un uomo troppo stravagante per i suoi tempi, ovvero quando l’inquisizione spagnola sovrastava ogni forma alternativa di pensiero che non fosse quello cattolico fondamentalista, quello regale sulla purezza del sangue, nonché della sete di potere e conquista.

L’opera di Schiller infatti è scritta in forma di tragedia, attraverso cui viene espresso il senso tragico della libertà che l’uomo dovrebbe realizzare tramite il sentimento del sublime, quindi la poesia, la letteratura, l’arte, opponendosi al destino, con la faticosa ricerca di una concretizzazione armonica della propria personalità nella realtà storica che lo circonda. Ciò riflette in parte la stessa esperienza esistenziale dell’autore tedesco, costretto a nascondere la sua vena intellettuale perché assoggettato alle ristrettezze economiche della sua famiglia, l’impellente necessità di dover lavorare, e dagli obblighi a lui imposti dal Duca di Württemberg, dove il padre era al servizio.
La generazione tedesca dello Sturm und Drang, di cui Schiller ha anticipato i tempi, non scorgeva nulla di irrazionale nel lasciare che la creatività sviluppasse da sé le sue capacità intellettuali: al contrario, irrazionale per gli Stürmer und Dränger era la fredda imposizione di norme e regole, fondate in un passato troppo remoto e dunque viste come inattuali e inattuabili, anacronistiche. D’altronde tra la Spagna sotto Filippo II e l’opera di Schiller corrono due secoli, ed ancora oggi la questione non è stata risolta.
Anche Filiberti insegue il senso del sublime, emozione “troppo spesso mortificata dalla quotidianità contemporanea“, come lui stesso ammette.
La nuova rappresentazione del Don Carlos di Filiberti non ha fallito le prove di autenticità che andava cercando. Il lavoro è risultato pulito e sintetico (seppur performato in un solo atto durato circa due ore), senza dispersione di carica attoriale fino alla chiusura finale del sipario. Nessuna debolezza di testo, talvolta intramezzato da citazioni fuori campo di personaggi importanti per la storia dell’umanità, come Leonardo da Vinci. Durante una lunga performance si corre sempre il rischio che in qualche momento ne cali il tono. Sta alla capacità degli attori, enfatizzare e sorreggere ogni segno, parola e sospiro sul palcoscenico, anche il più piccolo, importante e necessario per sublimare l’effetto della bellezza estetica del quadro d’insieme, incorniciata dalle scenografie minimaliste di Benito Leonori, arricchite dai disegni di luce di Mauro Toscano, puntate su tonalità scure per rendere verosimile l’ambientazione tragica di un mondo soffocato dal sangue versato nelle battaglie di conquista e dalle strette imposizioni confessionali e morali della Chiesa spagnola.
Oltre a tutto l’apprezzamento per il lavoro direttoriale, a Filiberti aggiungiamo ancora un complimento personale per la scelta sulla fisognomica degli attori interpreti di Re Filippo II e il Duca d’Alba: nei loro bei costumi d’epoca e trucco-parrucco impeccabile, sono apparsi soggetti perfetti per le parti attribuitegli. A fine serata, il regista, con gli occhi scintillanti di soddisfazione, ha riferito che si era compiuta una magia, una rappresentazione come aveva veramente desiderato che fosse.

Come spettatori, confermiamo che tutta l’esposizione fisica e dialettica dei performer, che si è svolta dentro e fuori dalla quarta parete, occupando con alcune scene anche la platea e i palchetti del magnifico teatro senese, è scorsa in maniera fluente, bella da vedersi e da ascoltare. Un lavoro multimediale, non nell’accezione moderna del termine, ma proprio in virtù dei numerosi linguaggi attoriali utilizzati per tenere in piedi un atto unico così lungo, compito certo non facile. Eppure ha funzionato, e non è un’eccezione per Filiberti: il grande puzzle teatrale è apparso ineccepibile, raffinato esteticamente, godibile agli occhi e all’udito, non solo per il testo drammaturgico, ma anche per le sonorità che hanno rafforzato i quadri scenici e la coinvolgente l’atmosfera creatasi sul palcoscenico.
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Lo spettacolo è andato in scena al Teatro dei Rozzi, Via delle Terme, 15 – Siena
mercoledì 26 marzo ore 21.00
Intorno a Don Carlos: prove d’autenticità
Kammerspiel in due atti da Friedrich Schiller
scritto e diretto da Marco Filiberti
coreografie Emanuele Burrafato
con Pietro Bovi – Diletta Masetti – Luca Tanganelli – Massimo Odierna – Giacomo Mattia
scene Benito Leonori
light design Mauro Toscano
costumi Daniele Gelsi
sound designer Stefano Sasso
trucco e parrucco Roberto Pastore e Marilù Sasso
Produzione: Le Vie del Teatro in Terra di Siena con Dedalus S.r.l.
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Sabato, 5 aprile 2025 – Anno V – n°14/2025
In copertina: una scena dello spettacolo – Tutte le immagini di ©FrancescaCassaro