Extraction/Abstraction
di Laura Sestini
Al Museo900 di Venezia Mestre è in corso una ampia mostra di straordinarie immagini fotografiche realizzate dal fotografo canadese Edward Burtynsky.
Curata da Marc Mayer – già direttore della National Gallery of Canada e del Musée d’Art Contemporain di Montreal – è la più ampia esposizione mai realizzata sugli oltre quarant’anni di carriera del fotografo, che giunge in Italia dopo il fortunato debutto alla Saatchi Gallery di Londra.
Il progetto di allestimento, al terzo piano del Museo, è dello studio romano Alvisi Kirimoto, che ha posizionato le numerose gigantografie con un approccio semplice, di ispirazione minimalista, senza fronzoli che tolgano spazio sia all’attenzione del visitatore, sia all’ampiessa stessa delle opere esposte.
L’illuminazione scenica adottata per la visione delle fotografie, non sappiamo realmente se facente parte del lavoro di Alvisi Kirimoto, oppure sia attrezzatura standard dell’arredamento della grande sala del Museo, finalmente (rispetto ad altre mostre di famosi fotografi internazionali visitate in altrettanto internazionali musei d’Italia) è potente e non ha dominanti di colore; ciò permette di mettere in evidenza le immagini in esposizione in maniera uniforme, senza zone di chiaroscuro, senza riflessi, facendo emergere con forza i colori e le linee armoniose delle suggestive immagini di Burtynsky.
Edward Burtynsky non è un nome particolarmente noto in Italia, nonostante la sua decennale attività, ma è uno dei fotografi contemporanei più affermati al mondo. Lo stesso Museo900 è giovanissimo, inaugurato solo nel 2018, da un progetto di riqualificazione urbana di 9000m2 nel cuore della cittadina della terraferma veneziana, attraverso il progetto dello studio berlinese Sauerbruch-Hutton che si era aggiudicato il bando di concorso nel 2010.
L’architettura del Museo e l’allestimento delle immagini di Burtynsky si accordano magnificamente, sembrano fatte l’uno per l’altra, entrambi di taglio stilistico semplice e lineare. Il museo dà sfoggio di sé con le sue innumerevoli piastrelle colorate di rivestimento esterno e gli immensi spazi interni, mentre le immagini di Burtynsky trasportano in mondi lontani attraverso i disegni di astrazione di panorami naturali catturari intorno al mondo, i soggetti principali degli scatti di fotografia slow praticata dal fotografo, effettuati maggiormente con banco ottico o fotocamere 6X6 con l’aiuto di tecnologie avanzate in fase di ripresa.
Eppure, nella loro spettacolarità estetica, le immagini del fotografo canadese sono una denuncia al degrado della natura per mano dell’uomo, lo sfruttamento neoliberista del mercato del lavoro e delle risorse naturali, l’industrializzazione selvaggia, l’inquinamento ambientale e morale dell’Antropocene. Molti sono gli scatti ripresi dall’alto, che catturano i design antropizzati degli ambienti naturali, altrimenti non percepibili ad altezza d’uomo.
Burtinsky ha vinto numerosi e prestigiosi riconoscimenti per il suo lavoro di ricerca ambientale, sociale e fotografica.
La mostra BURTYNSKY: Extraction / Abstraction si compone di sei sezioni tematiche che illustrano tutti i principali campi di azione del fotografo canadese, con oltre 80 fotografie di grande formato, 10 murales ad altissima definizione e alcuni dei principali strumenti fotografici che hanno reso celebre Burtynsky, inclusi i droni che gli hanno permesso di allargare la visione degli spazi naturali manipolati dall’uomo.
Tra le altre, una sezione fotografica, allestita lungo i corridoi del secondo piano del Museo, espone nove fotografie della campagna commissionata a Burtynsky dalla Fondazione Sylva nel 2022 per testimoniare gli effetti della Xylella fastidiosa sugli olivi pugliesi: un vero disastro ambientale che ha distrutto a morte 21 milioni di piante. Quelle immagini permettono di cogliere ancora più da vicino e misurare concretamente gli effetti del cambiamento climatico anche sul nostro Paese.
La “ricerca fotografica” che fissa le immagini di Burtynsky è senz’altro molto appagante da ammirare in senso estetico, ma il messaggio che invia il fotografo è stratificato e può essere interpretato da più angolazioni: tra queste indirizza anche a una profonda riflessione sull’etica umana, che non può essere elusa da tutto il resto.
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3 ottobre, 1983
Arches National Park, Utah
Era ora. Sono in viaggio da quasi ventisette settimane e non ho ancora scritto niente per me.
Ho usato le lettere e le cartoline come scusa per non scrivere a me,
per non affrontare il duro compito di capire e spiegare a me stesso che diamine sto facendo.
Potrei cominciare dall’inizio ma sarebbe chiedere troppo alla mia memoria, allora inizio con i ricordi più freschi.
In generale il mio lavoro si potrebbe dividere in due aree di concentrazione:
le industrie che trasformano la natura (itticoltura, miniere, disboscamento…)
e lei, la splendida Natura. In questo lavoro voglio far risaltare l’interfaccia tra Uomo e Natura.
Ovviamente gli esseri umani devono impossessarsi di terreni e uccidere per mangiare,
se vogliono sopravvivere. Per quanto ciò sia vero, io credo però che i metodi impiegati
abbiano alienato l’uomo dall’ambiente; e che sia arrivato il momento di procedere con cautela.
― dal diario di Edward Burtynsky
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BURTYNSKY: Extraction / Abstraction
M9 – Museo del ’900
Venezia Mestre
fino al 12 gennaio 2025 – https://www.m9museum.it/mostre/burtynsky-extraction-abstraction/
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Sabato, 28 settembre 2024 – Anno IV – n°39/2024
In copertina: Uralkali Potash Mine #1, Berezniki, Russia, 2017(c) Edward Burtynsky – courtesy Flowers Gallery, London